Lo scorso 16 luglio, dopo essere quasi sparite dalle strade per alcuni mesi, le pattuglie della “polizia morale” sono state ufficialmente reintrodotte in Iran. Non è chiaro perché sia accaduto proprio in questo periodo: qualcuno ha ipotizzato che il motivo risiede nell’imminenza delle celebrazioni dell’Ashura, la ricorrenza sciita largamente sponsorizzata dalle autorità, durante la quale si “piange” l’assassinio dell‘Imam Hussein, previste quest’anno per il 27 luglio. Sicuramente, a due mesi dall’anniversario della morte di Mahsa Amini, è ormai un fatto la dialettica di conflitto – talvolta latente, talvolta esplicito – tra le autorità e una parte rilevante del Paese, altamente istruita e pienamente inserita nei processi di globalizzazione.
Sarebbe però fuorviante credere che i gruppi di potere principali della Repubblica islamica debbano fare i conti “solo” con il malcontento di un ampio segmento di popolazione che rivendica in particolare la dimensione libertaria, laica, o persino “occidentalizzata” delle proprie aspirazioni politiche. La crisi di legittimità di un sistema che è entrato nel quinto decennio di vita, infatti, si declina su versanti diversi, in alcuni casi opposti. Lo si era già visto nelle settimane più intense di protesta, quando a quelle portate avanti da giovani urbanizzati e istruiti delle grandi città si alternavano le proteste del proletariato dei centri medi e medio grandi, legati a grandi industrie, o quelle delle minoranze etniche nelle regioni di confine.
Ora, tra i critici del governo di orientamento conservatore, ci sono anche alcuni dei suoi più fedeli sostenitori. Forse dovremmo addirittura dire “propagandisti”, se è vero che i “recitatori di elogi sciiti” – cioè i performers che guidano le coreografie, le processioni sciite e le manifestazioni canore e politico-religiose organizzate dal regime – hanno sempre celebrato lo stesso, non di rado venendo scelti e utilizzati anche come “alfieri” dialettici contro i riformisti, ma anche contro l’ultimo governo di Hassan Rouhani e l’accordo sul nucleare. Uno di loro, Hassan Kordmihan, era stato addirittura tra i leader della folla di “hooligans” che aveva assaltato le sedi diplomatiche saudite nel 2016 (proprio per sabotare l’agenda di Rouhani e rovinare la sua reputazione, ndr). Sono praticamente tutti di orientamento conservatore e ultra conservatore.
Dall’inizio delle proteste del 2022, tuttavia, anche in questo piccolo ma potente regno di solerti e appassionati recitatori sembra essersi aperto uno squarcio. Dapprima il famoso recitatore iracheno Bassem Karbalaei è stato aggredito dopo che la sera stessa era arrivato a insultare Khamenei durante una sua eulogia. Poi, a partire da aprile, uno dopo l’altro, diversi suoi colleghi hanno duramente, e in modo totalmente inedito, criticato l’operato del governo che fino a poco tempo prima sostenevano in modo più plateale di chiunque altro. Hamid Alimi, recitatore che aveva contestato anche Rouhani, ha attaccato il presidente Ebrahim Raisi durante una sua performance, e da quel momento gli è stato più volte impedito di esibirsi; Mahmoud Karimi, uomo molto ricco e uno dei più attivi contro l’ex ministro degli Esteri, Mohammad Zarif, è stato diffidato dal cantare un passaggio di una lettera che Ali ibn Abi Talib scrisse all’allora governatore dell’Egitto, invitandolo a un giusto trattamento della popolazione; tra i critici del governo anche Reza Narimani e Hossein Ansaria.
Dal 2018, poi, c’è anche un Grand Ayatollah di Qom a esser guardato con crescente apprensione dai falchi della Repubblica. Si chiama Javad Alavi Bourujerdi. Ha 72 anni ed è il nipote di un altro celebre ayatollah, Hossein Tabatabae’i Bourujerdi, a cui è legato anche da una duplice ironia del destino: fu infatti da un lato tra i protagonisti della crescita del seminario di Qom – che nel 1980 culminerà col renderla di fatto la “sede politico-spirituale” della neonata Repubblica islamica -, pur tenendosi sempre al di fuori della politica, a differenza del padre della rivoluzione, Khomeini; dall’altro, secondo storici come Roy Mottahedeh, Tabatabae’i fu “il solo marja-e taqlid dell’intero mondo sciita dal 1945 alla sua morte nel 1961”. Marja-e taqlid nel “gergo” sciita duodecimano significa “fonte di emulazione”, ed è una qualifica “onoraria” attribuita a pochissimi ayatollah.
Il tema della “attribuzione” è delicato e centrale: in primo luogo perché la rottura dell’ayatollah Javad Alavi Bourujerdi con alcune alte sfere religiose del regime si è manifestata la prima volta 5 anni fa, quando quest’ultimo, dopo aver pubblicato il suo Towzih al masa’il (un manuale di commenti ai pronunciamenti giuridici di precedenti marja), si è autoproclamato proprio “Marja-e Taqlid”, indispettendo l’ayatollah Mohammad Yazdi, ex capo del giudiziario ed ex presidente dell’Assemblea degli Esperti, oggi a capo della Società degli Insegnanti di seminario di Qom, città dove insegna anche Bourujerdi.
In secondo luogo, connesso al primo, va ricordato che secondo la tradizione sciita, un marja-e taqlid non potrebbe essere né eletto né nominato da nessuno. Dopo aver svolto la trafila degli studi giuridici e teologici e aver ricevuto da almeno altri due marja una sorta di “certificazione” all’utilizzo dell’ijtihad (la capacità di elaborare editti religiosi interpretando le fonti giuridiche), tradizionalmente la trasformazione in marja-e taqlid è sempre avvenuta “misurando” la popolarità, in un certo senso per acclamazione: sono i fedeli sciiti a esser chiamati a scegliere individualmente il proprio marja, ed è la loro portata numerica a rendere quell’ayatollah intitolato alla qualifica, a volte con la formale richiesta collettiva di pubblicare un testo con pronunciamenti ex novo sulla vita del musulmano.
Dalla rivoluzione islamica, però, alcune cose sono cambiate, anche in modo paradossale. La stessa Società degli Insegnanti del Seminario di Qom, molto vicina all’establishment, ha cercato sin dagli anni ’80 di intervenire sul tema, inserendo dei criteri di cooptazione dei marja. Nel 1994, ha addirittura rilasciato una lista ufficiale di sette (oggi otto, ndr) marja-e taqlid “credibili”, in qualche modo interferendo sulla consuetudine e sul “sacro” diritto dei fedeli di scegliere un marja, così come su quello del marja di esser riconosciuto come tale solo da una consistente platea di fedeli, che ha anche l’importante funzione di finanziarlo attraverso delle donazioni, aumentandone così il potere. Nei primi anni del 2000, ha imposto a qualunque Ayatollah intenzionato a pubblicare il proprio Towzih al masa’il di chiederle l’autorizzazione.
Non ha sorpreso, quindi, la rabbia che l’ayatollah Yazdi ha indirizzato verso Bourujerdi dopo che quest’ultimo ha deciso di pubblicarlo ugualmente, continuando peraltro a essere molto attivo sui social media. “Se aprirà un ufficio, gli toglierò personalmente l’insegna. Finché sarò in vita, impedirò a chiunque di proclamarsi marja”, aveva commentato Yazdi. Inutile dire che oggi in Iran i marja-e taqlid riconosciuti sono molti di più degli otto ufficiali.
Ci sono delle ragioni di merito, per le quali la mossa di Bourujerdi ha innescato un moto di ansia nell’establishment. C’è la sua inusuale (per i religiosi in Iran) disinvoltura nel celebrare il passato pre-islamico dell’Iran, e in particolare del fondatore dell’Impero persiano, Ciro Il Grande, e del suo “cilindro”, considerata la prima vera dichiarazione sui diritti umani; c’è la sua apertura verso i Baha’i (secondo le stime circa 300mila in Iran), che dalle autorità sono ampiamente discriminati e considerati una setta che funge da bacino di reclutamento degli agenti del Mossad; la sua esplicita favorevolezza al JCPOA, l’accordo sul nucleare (che a suo avviso avrebbe avuto l’effetto benefico di “separare Stati Uniti ed Europa”); la sua capacità di attrarre le fasce più giovani – notoriamente sempre più lontane dai religiosi – per via della capacità di usare registri diversi, di padroneggiare e interagire nel cyberspazio (definito una “opportunità d’oro”, che “non ha senso restringere come si fa in Russia e Cina”) e di assumere posizioni molto più soft di tanti suoi colleghi su diversi temi, non ultimi quelli del velo obbligatorio (“la vera fede non dovrebbe essere definita dalle apparenze”) e di una maggiore laicità del sistema, insistendo per esempio sulla necessità di affidarsi ai tecnici in materie come l’economia, e meno a chi abbia requisiti di tipo religioso.
C’è la sua posizione netta rispetto alla repressione delle proteste – “queste persone vanno ascoltate, i giornali lasciati liberi di scrivere, sulla tv di Stato dovrebbero esserci opinioni diverse” – e c’è, in particolare, la sua progettualità politica. Come ricorda l’analista Ruhollah Faghighi, nel 2003 fu formato a Qom un gruppo soprannominato “Incontro tra i professori del seminario di Qom”, con la mission di realizzare “l’indipendenza del seminario dalla politica, dal punto di vista finanziario e intellettuale”. Quasi l’80% dei docenti aderì, nonostante le critiche dei più vicini al regime, e tra questi ci fu anche Bourujerdi, che poi ha assunto una posizione prominente in seno allo stesso gruppo. “Ha molti vantaggi, come la sua indipendenza e il sostegno che esplicita verso i diritti delle persone”, ha confidato a Middle east eye un religioso di Qom, “mentre molti degli altri ayatollah tacciono o agiscono in collusione col governo. Ciò danneggia sia l’Islam che il seminario”.
Mondo
Iran, il regime minacciato non solo dalle proteste dei giovani: anche tra le gerarchie religiose si è aperta una frattura
Lo scorso 16 luglio, dopo essere quasi sparite dalle strade per alcuni mesi, le pattuglie della “polizia morale” sono state ufficialmente reintrodotte in Iran. Non è chiaro perché sia accaduto proprio in questo periodo: qualcuno ha ipotizzato che il motivo risiede nell’imminenza delle celebrazioni dell’Ashura, la ricorrenza sciita largamente sponsorizzata dalle autorità, durante la quale si “piange” l’assassinio dell‘Imam Hussein, previste quest’anno per il 27 luglio. Sicuramente, a due mesi dall’anniversario della morte di Mahsa Amini, è ormai un fatto la dialettica di conflitto – talvolta latente, talvolta esplicito – tra le autorità e una parte rilevante del Paese, altamente istruita e pienamente inserita nei processi di globalizzazione.
Sarebbe però fuorviante credere che i gruppi di potere principali della Repubblica islamica debbano fare i conti “solo” con il malcontento di un ampio segmento di popolazione che rivendica in particolare la dimensione libertaria, laica, o persino “occidentalizzata” delle proprie aspirazioni politiche. La crisi di legittimità di un sistema che è entrato nel quinto decennio di vita, infatti, si declina su versanti diversi, in alcuni casi opposti. Lo si era già visto nelle settimane più intense di protesta, quando a quelle portate avanti da giovani urbanizzati e istruiti delle grandi città si alternavano le proteste del proletariato dei centri medi e medio grandi, legati a grandi industrie, o quelle delle minoranze etniche nelle regioni di confine.
Ora, tra i critici del governo di orientamento conservatore, ci sono anche alcuni dei suoi più fedeli sostenitori. Forse dovremmo addirittura dire “propagandisti”, se è vero che i “recitatori di elogi sciiti” – cioè i performers che guidano le coreografie, le processioni sciite e le manifestazioni canore e politico-religiose organizzate dal regime – hanno sempre celebrato lo stesso, non di rado venendo scelti e utilizzati anche come “alfieri” dialettici contro i riformisti, ma anche contro l’ultimo governo di Hassan Rouhani e l’accordo sul nucleare. Uno di loro, Hassan Kordmihan, era stato addirittura tra i leader della folla di “hooligans” che aveva assaltato le sedi diplomatiche saudite nel 2016 (proprio per sabotare l’agenda di Rouhani e rovinare la sua reputazione, ndr). Sono praticamente tutti di orientamento conservatore e ultra conservatore.
Dall’inizio delle proteste del 2022, tuttavia, anche in questo piccolo ma potente regno di solerti e appassionati recitatori sembra essersi aperto uno squarcio. Dapprima il famoso recitatore iracheno Bassem Karbalaei è stato aggredito dopo che la sera stessa era arrivato a insultare Khamenei durante una sua eulogia. Poi, a partire da aprile, uno dopo l’altro, diversi suoi colleghi hanno duramente, e in modo totalmente inedito, criticato l’operato del governo che fino a poco tempo prima sostenevano in modo più plateale di chiunque altro. Hamid Alimi, recitatore che aveva contestato anche Rouhani, ha attaccato il presidente Ebrahim Raisi durante una sua performance, e da quel momento gli è stato più volte impedito di esibirsi; Mahmoud Karimi, uomo molto ricco e uno dei più attivi contro l’ex ministro degli Esteri, Mohammad Zarif, è stato diffidato dal cantare un passaggio di una lettera che Ali ibn Abi Talib scrisse all’allora governatore dell’Egitto, invitandolo a un giusto trattamento della popolazione; tra i critici del governo anche Reza Narimani e Hossein Ansaria.
Dal 2018, poi, c’è anche un Grand Ayatollah di Qom a esser guardato con crescente apprensione dai falchi della Repubblica. Si chiama Javad Alavi Bourujerdi. Ha 72 anni ed è il nipote di un altro celebre ayatollah, Hossein Tabatabae’i Bourujerdi, a cui è legato anche da una duplice ironia del destino: fu infatti da un lato tra i protagonisti della crescita del seminario di Qom – che nel 1980 culminerà col renderla di fatto la “sede politico-spirituale” della neonata Repubblica islamica -, pur tenendosi sempre al di fuori della politica, a differenza del padre della rivoluzione, Khomeini; dall’altro, secondo storici come Roy Mottahedeh, Tabatabae’i fu “il solo marja-e taqlid dell’intero mondo sciita dal 1945 alla sua morte nel 1961”. Marja-e taqlid nel “gergo” sciita duodecimano significa “fonte di emulazione”, ed è una qualifica “onoraria” attribuita a pochissimi ayatollah.
Il tema della “attribuzione” è delicato e centrale: in primo luogo perché la rottura dell’ayatollah Javad Alavi Bourujerdi con alcune alte sfere religiose del regime si è manifestata la prima volta 5 anni fa, quando quest’ultimo, dopo aver pubblicato il suo Towzih al masa’il (un manuale di commenti ai pronunciamenti giuridici di precedenti marja), si è autoproclamato proprio “Marja-e Taqlid”, indispettendo l’ayatollah Mohammad Yazdi, ex capo del giudiziario ed ex presidente dell’Assemblea degli Esperti, oggi a capo della Società degli Insegnanti di seminario di Qom, città dove insegna anche Bourujerdi.
In secondo luogo, connesso al primo, va ricordato che secondo la tradizione sciita, un marja-e taqlid non potrebbe essere né eletto né nominato da nessuno. Dopo aver svolto la trafila degli studi giuridici e teologici e aver ricevuto da almeno altri due marja una sorta di “certificazione” all’utilizzo dell’ijtihad (la capacità di elaborare editti religiosi interpretando le fonti giuridiche), tradizionalmente la trasformazione in marja-e taqlid è sempre avvenuta “misurando” la popolarità, in un certo senso per acclamazione: sono i fedeli sciiti a esser chiamati a scegliere individualmente il proprio marja, ed è la loro portata numerica a rendere quell’ayatollah intitolato alla qualifica, a volte con la formale richiesta collettiva di pubblicare un testo con pronunciamenti ex novo sulla vita del musulmano.
Dalla rivoluzione islamica, però, alcune cose sono cambiate, anche in modo paradossale. La stessa Società degli Insegnanti del Seminario di Qom, molto vicina all’establishment, ha cercato sin dagli anni ’80 di intervenire sul tema, inserendo dei criteri di cooptazione dei marja. Nel 1994, ha addirittura rilasciato una lista ufficiale di sette (oggi otto, ndr) marja-e taqlid “credibili”, in qualche modo interferendo sulla consuetudine e sul “sacro” diritto dei fedeli di scegliere un marja, così come su quello del marja di esser riconosciuto come tale solo da una consistente platea di fedeli, che ha anche l’importante funzione di finanziarlo attraverso delle donazioni, aumentandone così il potere. Nei primi anni del 2000, ha imposto a qualunque Ayatollah intenzionato a pubblicare il proprio Towzih al masa’il di chiederle l’autorizzazione.
Non ha sorpreso, quindi, la rabbia che l’ayatollah Yazdi ha indirizzato verso Bourujerdi dopo che quest’ultimo ha deciso di pubblicarlo ugualmente, continuando peraltro a essere molto attivo sui social media. “Se aprirà un ufficio, gli toglierò personalmente l’insegna. Finché sarò in vita, impedirò a chiunque di proclamarsi marja”, aveva commentato Yazdi. Inutile dire che oggi in Iran i marja-e taqlid riconosciuti sono molti di più degli otto ufficiali.
Ci sono delle ragioni di merito, per le quali la mossa di Bourujerdi ha innescato un moto di ansia nell’establishment. C’è la sua inusuale (per i religiosi in Iran) disinvoltura nel celebrare il passato pre-islamico dell’Iran, e in particolare del fondatore dell’Impero persiano, Ciro Il Grande, e del suo “cilindro”, considerata la prima vera dichiarazione sui diritti umani; c’è la sua apertura verso i Baha’i (secondo le stime circa 300mila in Iran), che dalle autorità sono ampiamente discriminati e considerati una setta che funge da bacino di reclutamento degli agenti del Mossad; la sua esplicita favorevolezza al JCPOA, l’accordo sul nucleare (che a suo avviso avrebbe avuto l’effetto benefico di “separare Stati Uniti ed Europa”); la sua capacità di attrarre le fasce più giovani – notoriamente sempre più lontane dai religiosi – per via della capacità di usare registri diversi, di padroneggiare e interagire nel cyberspazio (definito una “opportunità d’oro”, che “non ha senso restringere come si fa in Russia e Cina”) e di assumere posizioni molto più soft di tanti suoi colleghi su diversi temi, non ultimi quelli del velo obbligatorio (“la vera fede non dovrebbe essere definita dalle apparenze”) e di una maggiore laicità del sistema, insistendo per esempio sulla necessità di affidarsi ai tecnici in materie come l’economia, e meno a chi abbia requisiti di tipo religioso.
C’è la sua posizione netta rispetto alla repressione delle proteste – “queste persone vanno ascoltate, i giornali lasciati liberi di scrivere, sulla tv di Stato dovrebbero esserci opinioni diverse” – e c’è, in particolare, la sua progettualità politica. Come ricorda l’analista Ruhollah Faghighi, nel 2003 fu formato a Qom un gruppo soprannominato “Incontro tra i professori del seminario di Qom”, con la mission di realizzare “l’indipendenza del seminario dalla politica, dal punto di vista finanziario e intellettuale”. Quasi l’80% dei docenti aderì, nonostante le critiche dei più vicini al regime, e tra questi ci fu anche Bourujerdi, che poi ha assunto una posizione prominente in seno allo stesso gruppo. “Ha molti vantaggi, come la sua indipendenza e il sostegno che esplicita verso i diritti delle persone”, ha confidato a Middle east eye un religioso di Qom, “mentre molti degli altri ayatollah tacciono o agiscono in collusione col governo. Ciò danneggia sia l’Islam che il seminario”.
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Meloni incontra Donald Trump a Mar-a-Lago. Elogi dal tycoon: ‘Ha preso d’assalto l’Europa’. Nyt: ‘Pressing aggressivo sul caso Cecilia Sala’
Ambiente & Veleni
Animali e biodiversità, perché anche il 2025 sarà un anno nero. Allevamenti, leggi pro-caccia, guerra a orsi e lupi: le ‘battaglie’ Lega-FdI che piacciono alle lobby
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Todde al Fatto: “Rimango presidente. Soltanto il Consiglio può farmi decadere” – L’intervista. I 7 punti contestati: anche fatture da 153 euro
Milano, 5 gen. (Adnkronos) - Sono in corso le indagini dei carabinieri per fare luce sulla morte di un 28enne marocchino trovato morto ieri sera a Cisliano in provincia di Milano. E' stato un passante ieri a chiamare il 112 dopo aver notato un uomo riverso sul ciglio della strada in via Regina Elena, quasi all'incrocio con una strada provinciale. Sul posto sono intervenuti, insieme al 118, i carabinieri di Bareggio e Magenta che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. A quanto si apprende si indaga per omicidio perché, da una prima ispezione del medico legale, è emersa sul cadavere una lesione all'addome inferiore compatibile con un'azione violenta. Tuttavia sarà l'autopsia a fare definitivamente chiarezza.
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Visita lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, dove la premier ha incontrato il presidente eletto degli Usa Donald Trump. Dopo circa 5 ore dal suo arrivo a Palm Beach, la premier è risalita sul volo che la sta riconducendo a Roma.
(Adnkronos) - Il Napoli vince 3-0 in casa della Fiorentina oggi 4 gennaio 2025 nel match valido per la 19esima giornata della Serie A. La formazione di Conte passa al Franchi con i gol di Neres (29'), Lukaku (54' su rigore) e McTominay (68'). Il successo consente al Napoli di salire a 44 punti e di conquistare il primo posto solitario in classifica con 3 punti di vantaggio sull'Atalanta e 4 sull'Inter. Bergamaschi e milanesi hanno una partita in meno.
Il Napoli parte bene e al 15' Olivera va in gol dopo lo scambio con Lukaku, ma l'azione del Napoli è viziata da due posizioni di fuorigioco dei due protagonisti dell'azione. Al 18' altro squillo del Napoli con Spinazzola che impegna De Gea. La Fiorentina non riesce ad essere pericolosa e la squadra di Conte al 26' ci prova con Neres che converge e ci prova con il mancino.
Al 29' Napoli in vantaggio: combinazione tra Neres e Lukaku, con il brasiliano che in area danza sul pallone, salta gli avversari e di destro da posizione laterale infila De Gea sotto la traversa per l'1-0. Immediata la reazione viola che al 35' manda Kean in gol, ma l'attaccante prima del tiro in porta tocca il pallone con una mano e la rete viene annullata dopo il consulto con il Var. Al 39' ancora Fiorentina pericolosa con la conclusione verso la porta di Mandragora, parata in tuffo da Meret.
Ad inizio ripresa ancora Napoli protagonista. Al 53' Neres serve McTominay ma lo scozzese in area non inquadra la porta. Il raddoppio arriva un minuto dopo. Al 54' intervento in ritardo di Moreno su Anguissa e calcio di rigore trasformato da Lukaku, per il 2-0. Palladino cambia faccia alla squadra inserendo Gosens e Colpani e al 61' arriva una clamorosa doppia occasione: prima Meret respinge il tiro da centro area di Mandragora, poi si salva anche sul tentativo di Beltran. Poi sul cross di Dodò, svetta ancora Beltran ma il pallone esce di poco a lato.
I viola riversati in avanti lasciano ampi spazi alle ripartenze del Napoli che al 63' sfiora il tris sull'asse Lukaku-Neres, ma questa volta il brasiliano conclude sull'esterno della rete. Al 68' il Napoli trova il terzo gol: ennesimo errore viola a centrocampo con Anguissa che ruba palla e si invola, sul suo cross in area Comuzzo non riesce a liberare, e McTominay arriva da dietro e mette il pallone alle spalle di De Gea per il 3-0. La Viola non si arrende nonostante il pesante passivo e al 70' arriva il tiro a giro di Sottil dal limite dell'area che esce fuori di poco. Con il passare dei minuti la pressione della Fiorentina si affievolisce con il Napoli che controlla il possesso del pallone senza correre altri rischi.
Roma, 4 gen. (Adnkronos) - 'TMZ Presents' e 'Nightline' sono stati i primi: nel 2024 si sono affrettati a produrre speciali sulla storia del magnate P.Diddy, ma a quanto pare sono in arrivo altre serie che promettono ulteriori indagini e scoop. Peacock, lo streamer di proprietà della Nbc Universal ha fatto scalpore giovedì pubblicando il trailer del suo prossimo 'Diddy: The Making of a Bad Boy'. Lo speciale documentario di 90 minuti, previsto per il 14 gennaio, promette di scavare in profondità nelle rivelazioni esplosive che Sean 'Diddy' Combs sta affrontando, tracciando l'ascesa al potere del musicista e imprenditore e facendo parlare addetti ai lavori, l'ex marito della fidanzata di lunga data di Comb, Kim Porter, un'ex guardia del corpo, una truccatrice, una stagista, una vincitrice di Making the Band e un'amica d'infanzia.
Il progetto Peacock sarà presto seguito da altri che sicuramente faranno notizia. Il manager del rapper Curtis “50 Cent” Jackson e i produttori del colosso degli ascolti del 2024 'Quiet on Set: The Dark Side of Kids TV', ad esempio, stanno lavorando su progetti separati. E la saga non è ancora finita: Combs resta in carcere a New York in attesa del processo, che è attualmente fissato per maggio. Il magnate si è dichiarato non colpevole delle accuse di traffico sessuale, associazione a delinquere e trasporto per dedicarsi alla prostituzione. Il team legale di Combs ha dichiarato in una nota al The Hollywood Reporter che i documentari già usciti includono “affermazioni non verificate” e “teorie del complotto infondate”. Combs "nega inequivocabilmente queste false accuse, che sono dannose, diffamatorie e supportate da prove credibili", ha affermato il team, aggiungendo che in tribunale prevarranno i fatti.
Palermo, 4 gen. (Adnkronos) - Alla vigilia del 45esimo anniversario dell'omicidio dell'ex Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella ci potrebbe essere una svolta nell'inchiesta. La Procura di Palermo, come scrive oggi Repubblica, avrebbe iscritto nel registro degli indagati due persone indicate come i sicari del politico democristiano ucciso sotto la sua abitazione il 6 gennaio del 1980, sotto gli occhi della moglie e dei due figli. Anche se gli inquirenti, interpellati dall'Adnkronos, non confermano. Mentre la famiglia, che sulle vicende giudiziarie e sulle indagini, ha sempre mantenuto il massimo riserbo, continua su questa linea e preferisce non commentare le ultime novità.
Un politico, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che alla fine degli anni Settanta aveva provato ad attuare una politica di rinnovamento, lasciando fuori dai palazzi gli intrecci con la mafia. Proprio come scrivevano i giudici nelle sentenze che si sono susseguite negli anni nei processi sugli omicidi politici. L’attività dell'ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, "appariva assai pericolosa", "in quanto ispirata a una genuina politica di rinnovamento, anche in virtù del controllo che aveva cominciato ad esercitare nei confronti del Comune" di Palermo. "Fra le iniziative più innovative e rischiose adottate da Piersanti Mattarella vi era stata l’acquisizione dell’elenco dei funzionari regionali nominati collaudatori di opere pubbliche, che gli consentiva di verificare quali gruppi controllassero la materia dei pubblici appalti e di intervenire di conseguenza nel modo più efficace al fine di renderli trasparenti", si legge nella sentenza sulla strage di Bologna, nel capitolo relativo all'omicidio del Presidente "dalle carte in regola".
E ancora: con l’avvento di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione siciliana, "per la prima volta gli interessi affaristico-mafiosi, che col tempo si erano consolidati in seno al potere politico in sede comunale e regionale, erano stati messi in discussione (ed erano a rischio), e proprio ad opera di un esponente della Democrazia Cristiana, il partito che fino ad allora aveva detenuto il potere in Sicilia in forma indiscussa e aveva assicurato alla mafia, in un regime di sostanziale egemonia, la gestione di tutti i più importanti affari della vita economica siciliana, a cominciare dagli appalti delle opere pubbliche". In questo contesto, "la assoluta indisponibilità di Mattarella a qualsiasi tipo di compromesso poneva a repentaglio quegli equilibri tra le amministrazioni pubbliche e gli interessi mafiosi che attraverso altri soggetti era stato ormai da tempo possibile creare e mantenere".
Era la mattina del 6 gennaio 1980, quando l’onorevole Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, in occasione dell'Epifania, uscì di casa con la famiglia per recarsi a messa. Come d’abitudine, ogni volta che usciva per ragioni di carattere privato, non aveva (in quanto non voleva) la scorta. Alle 12.45, insieme al figlio Bernardo, di vent’anni, scendeva nel garage della propria abitazione, posto in fondo a uno scivolo che dava su via Libertà, distante da casa circa quindici metri, per prelevare la propria auto Fiat 132. In retromarcia si portava sul passo carraio per far salire la moglie Irma Chiazzese sul sedile anteriore e la suocera sui sedili posteriori. Il figlio stava chiudendo le porte del garage e del cancello che dallo scivolo immetteva sulla pubblica via.
"All’improvviso un giovane dell’età apparente di 20-25 anni, che indossava un piumino azzurro o blu ed era a volto scoperto, si accostava al lato sinistro della vettura e, dopo avere invano tentato di aprire la portiera anteriore, esplodeva alcuni colpi d’arma da fuoco contro l’on. Mattarella, che, seduto alla guida, si accasciava verso destra e veniva parzialmente coperto dalla moglie, che si era piegata su di lui poggiandogli le mani sul capo al fine di fargli da scudo", si legge nelle carte. "Il giovane si dirigeva verso una Fiat 127 bianca sulla quale si trovava un complice armato, con il quale parlava in modo concitato e dal quale riceveva un’altra arma, indi tornava a sparare sull’on. Mattarella dal finestrino posteriore destro della Fiat 132- si legge ancora con il freddo linguaggio burocratico - I due assassini si davano quindi alla fuga e la Fiat 127 veniva ritrovata alle successive ore 14:00, distante poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Risultava rubata verso le ore 19:30 del giorno precedente".
Per l’omicidio fu usato, per primo, un revolver calibro 38, la cui rigatura era basata su otto righe destrorse (di possibile provenienza americana o tedesca o spagnola), e per secondo un revolver cal. 38 Special Colt, con sei impronte di rigatura sinistrorse. Come dà atto anche la sentenza di primo grado sugli omicidi politici, Mattarella era "riuscito inoltre a far varare la legge sulla programmazione regionale della spesa pubblica, attraverso la quale poteva razionalizzare e rendere costanti, ancorandoli a criteri oggettivi e di carattere generale, i vari flussi di spesa". "Tutto questo (e altro), se da un lato impediva arbitrarie attribuzioni di spesa, dall’altro andava a ledere interessi consolidati in seno alla mafia e al contesto che intorno ad essa gravitava- si legge -Posto che l’eliminazione di Mattarella era nell’interesse comune di tutte le famiglie mafiose a causa della politica che egli perseguiva, di rinnovata trasparenza nell’assegnazione degli appalti".
Negli anni, dopo l'assoluzione di Gilberto Cavallini e Valerio 'Giusva' Fioravanti, era stato fatto da alcuni collaboratori di giustizia anche il nome di un boss mafioso, Nino Madonia. Oggi ergastolano.
Il collaborante Francesco Di Carlo, sentito in sede di riapertura dell’istruzione dibattimentale, ha rivelato di avere appreso da Bernardo Brusca "che il killer che aveva esploso i colpi di arma da fuoco all’indirizzo del Mattarella si identificava nella persona di Nino Madonia… Non bisogna dimenticare che tutti i collaboranti che hanno reso dichiarazioni sugli esecutori materiali del delitto sono concordi nell’indicare il Nino Madonia come uno dei killer del Presidente della Regione siciliana. Ma quel che è più rilevante è il fatto che il Di Carlo ha riferito di avere, vedendo la fotografia sui giornali di Valerio Fioravanti, commentato con lo stesso Brusca il fatto, rilevando come il Nino Madonia somigliasse moltissimo al terrorista nero", dice la sentenza.
E oggi, a distanza di 45 anni dal terribile omicidio, si potrebbe essere a una svolta. Anche se il condizionale è d'obbligo. (di Elvira Terranova)
Washington, 3 gen. (Adnkronos/Afp) - Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, condannato in primavera da un tribunale penale di New York per aver effettuato pagamenti occulti alla pornostar Stormy Daniels, conoscerà la sua pena il 10 gennaio, ossia 10 giorni prima del suo insediamento alla Casa Bianca (previsto per il 20 gennaio). Lo ha deciso il giudice della Corte suprema statale, Juan Merchan, il quale ha dichiarato che non intende condannare Trump al carcere.
Trump dovrà "comparire in aula il 10 gennaio 2025", ha ordinato Merchan in un'ordinanza nella quale ha specificato di non essere "propenso a imporre una sentenza di incarcerazione" all'uomo che diventerà il 47esimo presidente degli Stati Uniti.
La decisione del giudice di New York "è un attacco all'immunità presidenziale", ha affermato un portavoce del tycoon repubblicano, Steven Cheung.
Palermo, 4 gen. (Adnkronos) - “Grazie per il vostro affetto e per quello che fate tutti i giorni per noi cittadini”. Sono le parole di ringraziamento che la signora Aurora ha rivolto agli agenti della Polizia di Stato di Catania al termine di un incontro, tra ricordi e racconti condivisi, per iniziare in modo diverso il nuovo anno. Per non trascorrere da sola il giorno di Capodanno, l’anziana di Adrano ha chiamato, nel primo pomeriggio, i poliziotti del locale Commissariato per chiedere un supporto morale e per avere un po' di compagnia a casa sua. Al telefono la donna ha raccontato di trovarsi in uno stato di particolare sconforto per aver trascorso le giornate di festa senza incontrare persone, dal momento che, per la sua età e per qualche problema di salute, preferisce non uscire di casa, pur avendo qualche parente residente nei comuni vicini.
L’accorato appello della signora non è rimasto inascoltato e, in pochi minuti, due agenti del Commissariato di Adrano hanno raggiunto la sua abitazione per verificare, prioritariamente, le sue effettive condizioni di salute. Alla vista dei poliziotti, la donna non ha nascosto la sua felicità per la gradita sorpresa e ha subito spalancato le porte di casa, chiedendo loro di accomodarsi in salone per poter parlare insieme per qualche minuto, rivolgendo, in più momenti, parole di sincera e profonda gratitudine agli agenti del Commissariato.
La donna è apparsa in forma, con un progressivo mutamento del suo stato d’animo, caratterizzato da un evidente entusiasmo e da una contagiosa solarità. La signora Aurora, insegnante in pensione, spegnerà tra qualche settimana le ottanta candeline e ai poliziotti ha raccontato diversi aneddoti della sua vita, rivivendo, così, alcuni episodi piacevoli della sua giovinezza. Inoltre, ha mostrato alcune foto del periodo dei suoi studi e poi della sua carriera tra le aule scolastiche, sottolineando di avvertire molto la mancanza dell’affetto e del calore che, per anni, le hanno dimostrato diverse generazioni di alunni. Dopo circa un’ora di ricordi e sorrisi, i due agenti del Commissariato di Adrano si sono congedati con la promessa di un nuovo incontro nelle prossime settimane, non prima di esaudire la richiesta della signora Aurora di una foto insieme per ricordare questo momento così importante del nuovo anno.