Quando Pino Rauti, fondatore del gruppo stragista Ordine nuovo, rientrò nel Movimento sociale guidato da Almirante, alla fine del 1969, il giornale del partito titolò entusiasta: “Un rientro che tutto il partito saluta con gioia”. Rauti disse a una riunione di camerati tenuta a Roma che era giunta l’ora di “aprire l’ombrello”. Lo diceva anche Carlo Maria Maggi, il reggente di On nel Triveneto, mandante della strage di Piazza della Loggia. Andò proprio così: il Movimento sociale era un porto sicuro per i terroristi. Quando Gianfranco Bertoli lanciò la bomba alla questura, il 17 maggio del 1973, Almirante passò un momentaccio: qualche tempo prima l’attentatore aveva partecipato all’assalto al municipio di Padova orchestrato dalla federazione cittadina del suo partito.
L’elenco è lungo, a riprova che l’Msi fu la vera anomalia della Repubblica antifascista: oggi i suoi eredi vogliono rivendicare con orgoglio quella storia, portando nel simbolo elettorale di Fratelli d’Italia la fiamma che ardeva nel simbolo missino. Lo stillicidio di frasi, commenti, provocazioni che fratelli e sorelle d’Italia ci rifilano su eventi che vedono protagonisti i loro camerati è una studiata operazione per forzare omeopaticamente la frontiera antifascista consolidata negli anni anche grazie a sentenze che hanno contribuito a disegnare i caratteri di fatti che si iscrivono ormai alla Storia.
Le parole di Marcello De Angelis, portavoce del presidente della Regione Lazio Rocca, non sono per nulla “voce dal sen fuggita”. Al contrario si iscrivono nella scia di quei maldestri tentativi di invertire il senso delle cose: badate, non solo il 25 aprile, che per Giorgia Meloni non può essere antifascista, o gli eventi a ridosso della Resistenza e la guerra di Liberazione – via Rasella e le ridicolaggini del presidente del Senato La Russa – ma soprattutto gli eventi dello stragismo sono una piaga che gli eredi del fascismo non intendono affatto riconoscere. Vogliono anzi rimuoverla, negandola.
Il massacro del 2 agosto 1980 diventa così un loro obiettivo: è così consolidata quella vicenda sul piano delle responsabilità, è così nera quella strage, che anziché assumersi la responsabilità di un revisionismo in casa loro, provano a esportare un revisionismo storico grottesco. Oltre che offensivo per le vittime della strage, che siamo poi, in fin dei conti, tutti noi, tutta la comunità di un Paese ferito da una strategia della violenza stragista che ci ha impedito di crescere. L’operazione meloniana – dobbiamo credere che la presidente ne sia attiva protagonista – è dunque pericolosa perché intimamente antidemocratica.
Come l’estremo tentativo di riesumare la bufala degli opposti estremismi – l’idea fasulla che la violenza è la stessa, nero o rossa che sia – già destrutturata a suo tempo da un uomo della Dc, Paolo Emilio Taviani, il fondatore di Gladio e perciò l’uomo dell’apparato più consapevole di quanto i fascisti avessero infestato i corpi dello Stato: sciogliendo Ordine nuovo nel novembre del ‘73 decretò che i pericoli per la democrazia venivano solo e sempre da destra, “altro che oppositori estremisti”, disse a chiare lettere. Parole preziose, allora come ora.