Mafie

Antonino Scopelliti, 32 anni dopo l’omicidio del giudice è ancora senza colpevoli. La figlia: “Le parole sono finite, è finita la pazienza”

Nessun messaggio di circostanza, ma un silenzio di protesta per chiedere la verità sull’omicidio di suo padre. È la scelta di Rosanna Scopelliti, figlia di Antonino, il giudice assassinato il 9 agosto del 1991. Intervistata dal condirettore dell’agenzia Agi Paolo Borrometi la donna spiega di volersi “tappare la bocca“. Il motivo? “Le parole sono finite. È finita la pazienza, è finito il tempo della speranza, il tempo della fiducia. Oggi rimarrò in silenzio. Vi prego di rispettare la mia scelta”, dice Rosanna Scopelliti. Un modo per manifestare il suo dissenso e continuare a chiedere la verità, dopo che il 9 agosto dell’anno scorso aveva lanciato un appello sui social per chiedere “ricominciare da zero” le indagini sull’omicidio di suo padre. Nel “massimo rispetto della magistratura”, Rosanna Scopelliti chiedeva una nuova inchiesta sull’agguato che era costato la vita a suo padre.

Scopelliti era il sostituto procuratore generale che doveva rappresentare la pubblica accusa in Cassazione al Maxiprocesso. Doveva essere l’atto finale del lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che nel 1987 erano riusciti a far condannare per la prima volta il gotha di Cosa nostra all’ergastolo. Un cambio di paradigma: i mafiosi avevano sempre messo in conto di passare qualche anno in carcere, durante la loro carriera criminale. Il fine pena mai, però, è un’altra cosa. Raccontano i pentiti che le sentenze del Maxi scatenano la furia di Totò Riina. Il capo dei capi, però, è consapevole del fatto che quelle sentenze dovevano prima diventare definitive. Cosa nostra si mette in moto, ma non può evitare la conferma in Appello di gran parte di quelle condanne. La partita, dunque, si sposta a Roma, alla Corte di Cassazione dove tante volte in passato le sentenze sui mafiosi erano diventate carta straccia.

È in Cassazione che lavora Scopelliti, un magistrato di 56 anni con alle spalle una profonda esperienza. Aveva già rappresentato la pubblica accusa in processi importanti: quello sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, quello sulla strage di piazza Fontana, quello sulla bomba a bordo del treno Rapido 904. Nell’estate del ’91 sta iniziando a preparare la richiesta per il rigetto dei ricorsi degli avvocati dei mafiosi. Quelli sono mesi concitati: Falcone è andato a lavorare al ministero della Giustizia e in via Arenula comincia a studiare le sentenze della Cassazione: si accorge che tutti i processi dei mafiosi finiscono sempre sul tavolo dello stesso giudice. Per questo motivo chiede a ottiene dal guardasigilli dell’epoca, Claudio Martelli, d’introdurre un meccanismo di rotazione: i processi di mafia non devono più finire sempre sul tavolo della stessa sezione. Nel frattempo, però, anche Cosa nostra si muove. È il 9 agosto del 1991 – esattamente 32 anni fa – e Scopelliti si trova in Calabria, la Regione dove è nato e dove torna per le vacanze. Sta rientrando da una giornata al mare, quando due killer a bordo di una moto sparano col fucile contro la sua Bmw. Il magistrato muore sul colpo, perde il controllo dell’auto, che esce di strada: all’inizio c’è chi pensa addirittura a un incidente stradale. Ma quello, però, non è un incidente stradale: è un omicidio di mafia. Peggio: è un omicidio deciso da Cosa nostra insieme alla ‘ndrangheta. Un delitto che apre la stagione delle stragi. Chissà, forse è proprio per questo motivo che per troppo tempo quell’assassinio è stato dimenticato. E ancora oggi è impunito: due processi, finiti in primo grado con pesanti condanne per la Cupola di Cosa nostra, sono stati stravolti dalle assoluzioni in Appello. Poi, però, sono arrivati i pentiti. E hanno spiegato che l’omicidio Scopelliti non solo l’uccisione di un giudice, ma è il prequel delle stragi. Ancora oggi, però, quell’omicidio è rimasto senza colpevoli.

Di recente è uscito un podcast, L’omicidio Scopelliti, firmato dal giornalista Massimo Brugnone, che ripercorre la storia del delitto rimasto irrisolto. “Avevo sette anni il 9 agosto del 1991. Oggi è mia figlia ad avere la stessa età e a chiedermi perché il nonno è stato ucciso e non la può portare a mare”, dice Rosanna Scopelliti all’Agi. “Trentadue anni dopo – aggiunge – ascolto da mia figlia le stesse domande che mi ponevo quando cercavo di ritrovare tra le stanze di una casa vuota un abbraccio o un sorriso perso per sempre. E non ho una risposta”.