E' in uscita da Armado Editore "Via Poma-Anatomia di un delitto" firmato - insieme a Luca Dato - dal giornalista e scrittore, tra i più grandi esperti del giallo del 7 agosto 1990 quando fu trovata senza vita la ventenne Simonetta Cesaroni. Nel volume sono riuniti tutti i documenti di tutte le inchieste sul caso: "Sono venuti fuori errori importanti fatti durante le indagini”. Eccone alcuni
Il 7 agosto del 1990 il corpo di Simonetta Cesaroni viene trovato esanime e nudo sul pavimento di un ufficio in un bel palazzotto di Prati, flagellato da 29 coltellate inferte da un tagliacarte, in una stanza degli uffici dell’Aiag, l’Associazione italiana degli ostelli della gioventù. Via Poma-Anatomia di un delitto è il libro-inchiesta di Igor Patruno e Luca Dato che uscirà il 10 agosto per Armando editore. Il testo, consegnato dagli autori anche alla Procura di Roma che un anno fa circa ha riaperto le indagini sul delitto, ripercorre tutte le fasi dell’omicidio della ventenne di Roma Sud che trovò la morte nella “Roma bene”.
Un libro che contiene atti di indagine inediti con testimonianze, alibi poi caduti, tracce di Dna mai riscontrate e intercettazioni che risalgono ai giorni dell’omicidio. Nel corso di indagini e processi aperti e chiusi nel corso di questi 33 anni ci sono stati tre indagati, poi tutti prosciolti: l’allora fidanzato della vittima Raniero Busco, il portiere Pierino Vanacore morto suicida nel 2010 e il figlio dell’architetto Cesare Valle, Federico, residente all’epoca nello stabile in cui avvenne il delitto. Nessun colpevole. L’assassino della ragazza di Cinecittà è ancora a piede libero. Quasi un anno fa sono state riaperte le indagini dopo la presentazione di un secondo esposto da parte di Paola Cesaroni. In quell’esposto si indicano alcuni soggetti maschili che avrebbero potuto essere in via Poma il 7 agosto e il cui alibi non è stato verificato. Patruno, giornalista e scrittore, uno dei più grandi esperti del caso di via Poma, spiega a ilfattoquotidiano.it cosa è emerso di nuovo sul caso dal suo libro-inchiesta. “Abbiamo raggruppato i documenti di tutte le inchieste su Via Poma – racconta – Mettendoli in fila uno dopo l’altro, viene fuori un’analisi storica nuova, perché è importante anche contestualizzare le testimonianze rese agli inquirenti rispetto al momento in cui vennero rilasciate. A questo lavoro ha partecipato anche Paola Cesaroni, la sorella di Simonetta. Sono venuti fuori errori importanti fatti durante le indagini”.
Qual è il più eclatante?
Il primo riguarda l’uomo visto in via Poma quel giorno, alle 16, dal colonnello Giovanni Danese, all’epoca residente in via Poma. Dopo pochi giorni, Danese raccontò al colonnello Catalani di essere stato in via Poma fino alle 16.20, in attesa dell’autista. Dalla sua testimonianza si legge: “Mentre aspettavo, giunse un giovane che con fare un po’ balordo mi chiese dove si trovassero gli ostelli, l’ufficio degli ostelli della gioventù. Non sapendolo e credendo si trattasse di qualche ufficio del Comune gli indicai la circoscrizione dirimpetto. Il giovane disse che gli ostelli si trovavano in via Poma 2 e non dirimpetto, pertanto gli dissi di rivolgersi al portiere e gli indicai l’androne della scala B; il giovane senza salutare se ne andò, entrò al n. 4 e si diresse verso la scala B del 2. Dopo circa quindici minuti discese, prese la sua macchina e andò via. Quando parlò con me mi sembrò agitato, non aveva niente in mano. La macchina doveva essere una Peugeot, forse 505, di color grigio non metallizzata, piuttosto vecchia, non so se diesel o benzina, non feci caso alla targa. Sono in grado di riconoscerlo il giovane di cui si tratta”. Danese poi fornì i dati per l’identikit, quello originale è completamente diverso da quello che gira in rete. Ma se quest’uomo aveva una berlina, una Peugeot 505, perché gli inquirenti cercarono una station wagon, come risulta dalle carte? Ci siamo chiesti se davvero volessero cercarlo. Come speravano di trovarlo? È stata un’indagine fallimentare.
Sono stati fatti altri errori gravi durante le indagini?
Un’altra incongruenza emerge dall’indagine sulle telefonate anonime che riceveva Simonetta, di cui l’ultima poco prima del delitto. Queste telefonate erano fondamentali da chiarire dal momento che c’è stato un omicidio, no? Arrivavano all’inizio, nell’ufficio di Salvatore Volponi in via Magi dove lavorava Simonetta, in tutto saranno state quattro o cinque. Particolare inquietante, ha iniziato a riceverle quando ha preso il lavoro a via Poma presso gli uffici dell’Aiag dove andava saltuariamente per conto della società di Volponi. I genitori di Simonetta dichiararono all’ispettore Danilo Gobbi che c’era anche un altro ragazzo interessato alla figlia. Era un giovane con problemi evidenti. Gli dissero che lui aveva manifestato interesse ma aveva un lieve ritardo. Lei era stata sempre gentile con lui, non l’ha mai snobbato o trattato male, pur dicendogli che era impegnata. Simonetta era disponibile con tutti, era il suo modo di essere. Lui la andava a trovare alla profumeria Antonella, dove lei lavorava prima di via Poma. Questa indagine sulle telefonate anonime è durata meno di 24 ore perché gli inquirenti stabilirono subito che era stato lui a telefonare. Lui era stato in profumeria quando Simonetta lasciò quel lavoro e la proprietaria, per toglierselo da torno, gli diede il numero di casa. Lui le telefonava a casa quindi. Simonetta ne conosceva la voce, ci aveva parlato dal vivo, ne conosceva anche le caratteristiche e il modo di parlare. Se fosse stato lui a telefonare in via Poma, lo avrebbe riconosciuto. Il padre disse che non poteva essere lui a telefonare. L’anonimo interlocutore faceva allusioni sessuali a Simonetta, tipiche di una persona adulta non di un ragazzetto con un ritardo. E le diceva sempre: “Non ti ricordi di me?”. Come se l’avesse incontrato casualmente; per non riconoscerlo, molto probabilmente l’aveva incontrato da poco tempo e non più di una o due volte. Sarà stato un incontro occasionale. Se lo sono lasciati scappare. Era un uomo molto gentile, colto, che faceva apprezzamenti su di lei, ma con molto garbo e educazione.
Chi era questo ragazzo?
Il ragazzo in questione si chiama Vincenzo e nel 1990 ha 26 anni ed abita proprio in via Squillace, ad appena sessanta metri dalla profumeria Antonella. Lavorava come commesso al ministero delle Poste (zona Eur). Ha conosciuto Simonetta nel 1988 e da allora si è recato due o tre volte alla settimana presso il negozio. L’indagine su Vincenzo venne aperta e chiusa praticamente nel corso della stessa giornata. Il ragazzo aveva un alibi: fino alle 16.30 ha lavorato al ministero, dopodiché è partito da Termini per Nettuno, ove risiedeva dal 14 luglio per le ferie. Claudio Cesaroni è stato sempre scettico sull’identificazione dell’autore delle telefonate anonime, ed è francamente difficile dargli torto. Nel 1996 disse agli inquirenti che era stato preso questo ragazzo: “In pratica gli hanno fatto confessare che era lui che telefonava a Simonetta: questo (…) non sapeva né parlare, né stare zitto; era un povero ragazzo. E questi signori invece l’hanno fatto passare per il telefonista erotico, e questo devo dire che non ha mai avuto possibilità di contestare una cosa del genere; purtroppo me ne addoloro ancora oggi”, dichiarò.
Ricostruendo tutte le testimonianze, è venuta fuori qualche anomalia?
Le dichiarazioni di ogni singolo teste vanno rilette alla luce dei fatti accaduti, a distanza di tempo. Tutto questo ha dimostrato che alcuni hanno mentito, emerge dalle loro dichiarazioni contraddittorie. Cambia nel tempo il modo in cui la moglie del portiere Pierino Vanacore, Giuseppa De Luca, descrive “l’uomo col fagotto”: misteriosa figura mai identificata ma destinata a segnare la storia del delitto. Tra tutte le descrizioni date non ce ne sono due che combaciano. Alla fine il fagotto è diventato una busta nera. Lui prima era biondo poi rosso. È cambiata l’età, prima era giovane poi anziano. La camicia è diventata uno spolverino, solo il cappellino con visiera da motociclista è rimasto identico: l’unico elemento costante. Quindi forse lo avrà visto di spalle ma è probabile non abbia visto nessuno. Potrebbe essere stato inventato da Vanacore e sua moglie quando hanno capito le cose si mettevano male. Al magistrato inquirente la De Luca disse che la persona si muoveva con la stessa andatura del geometra Fabio Forza, impiegato presso l’ufficio dell’architetto Izzo, con studio al 1° piano, scala B, dello stabile di via Poma. Per fortuna, Forza quel giorno era in Turchia, altrimenti avrebbero potuto arrestarlo.
Quella del portiere resta una figura controversa…
Vanacore ha un buco immenso nel suo alibi. Dopo 33 anni ancora non sappiamo cosa abbia fatto tra le 17,10, quando l’architetto Cesare Valle gli portò il dolce in portineria, e le 18, quando è andato in ferramenta dove è stato effettivamente visto. Certamente non ha ammazzato Simonetta ma ha preferito suicidarsi piuttosto che dirci cosa ha fatto in quei circa 50 minuti. Io penso che potrebbe aver scoperto il corpo, è una mia congettura che mi ha sempre convinto.
Resta un’altra figura inquietante, che lei indica come il corriere dei tabulati.
Non si è potuto mai stabilire chi trasferisse le stampe delle pratiche contabili oggetto del lavoro di Simonetta, da via Poma alla sede nazionale di via Cavour 44. La trasmissione telematica dei documenti venne esclusa subito poiché il computer non disponeva di un collegamento alla rete internet. Chi andava a prenderli? Mica camminavano da soli. La dipendente dell’Aiag Luigia Berrettini dice di non sapere chi andasse a prenderli ma qualcuno ci andava. Questo profilo non è mai entrato nelle inchieste, ecco perché l’hanno riaperta. Insieme alla famiglia, abbiamo posto questi problemi ma la Procura dice che è passato troppo tempo. Non ci ha mai pensato nessuno eppure esiste qualcuno che deve averli presi. Qualcuno che avrà incontrato Simonetta e magari sapeva che era da sola quel giorno?