I colloqui sono ancora in fase iniziale, ma l’obiettivo sarebbe creare uno strumento che consenta ai fan di creare i brani falsi in maniera legittima, pagando i diritti d’autore
Presto clonare le voci, imitare testi e suoni di cantanti affermati non sarà più illegale. Il binomio musica – intelligenza artificiale sembra essere vincente. E anche le grandi major iniziano a convincersene. Sono in corso, infatti, le trattative tra Alphabet Google e Universal Music sull’utilizzo dei repertori degli artisti a contratto della prima casa discografica al mondo per la generazione di canzoni deepfake tramite AI. Tradotto: ancora più musica in rete (anche falsa), guadagni da entrambe le parti, divertimento per gli utenti del web.
Stando al Financial Times, le due aziende puntano a una vera e propria partnership sul piano dell’intelligenza artificiale. I colloqui sono in fase iniziale e il lancio di una nuova tecnologia non è imminente, ma l’obiettivo sarebbe creare uno strumento che consenta ai fan di creare i brani falsi in maniera legittima, pagando i diritti d’autore e quelli connessi ai detentori. Normalizzare le canzoni deepfake, dunque. Ma sempre tutelando gli artisti, che potrebbero scegliere se aderire o meno all’iniziativa. Inoltre, ancora secondo il quotidiano britannico, anche Warner Music starebbe trattando con Alphabet Google per un accordo simile.
D’altronde, l’ascesa e l’impatto dell’intelligenza artificiale generativa, anche nel mercato discografico, sono sotto gli occhi di tutti. E molte canzoni sono state già create o riprodotte tramite AI e caricate in rete senza il consenso di autori e artisti. Eclatanti i casi che hanno coinvolto Drake e The Weekend i quali, dopo l’improvviso e fulmineo successo di streaming dei loro fake, hanno chiesto e ottenuto la rimozione dei brani realizzati con l’intelligenza artificiale. Ma gli esempi sono innumerevoli: la voce di Frank Sinatra è stata utilizzata per un’inverosimile cover di Gangsta’s Paradise e quella di Johnny Cash per cantare Barbie Girl. Un utente di YouTube, sotto lo pseudonimo di “PluggingAI”, ha riportato in vita i rapper statunitensi Tupac e Notorious B.I.G. Tutto in silenzio. Senza autorizzazioni, consensi o concessioni da parte di chi gestisce l’eredità degli artisti o abbia voce in capitolo.
L’AI sembra essere la nuova frontiera dello streaming musicale, luci e ombre annesse. Soprattutto per quanto riguarda i diritti d’autore. Una storia già vista quando, agli inizi di YouTube, gli utenti avevano cominciato a usare brani popolari come colonne sonore dei loro video. In quel caso, i discografici avevano provato per diversi anni a far guerra alla piattaforma per violazione di copyright, senza successo. Poi l’accordo di collaborazione che, oggi, paga all’industria musicale circa 2 miliardi di dollari a livello globale per i video generati dagli utenti. Che il braccio di ferro tra discografia e AI sia giunto al capolinea?