Mettiamo in fila i pezzi per fare chiarezza. Partendo da un inequivocabile dato politico e di fatto: il mancato blitz delle compagnie telefoniche, col ritiro della norma sull’aumento dei limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico nell’ultimo Consiglio dei Ministri, ci dice che il 5G fa paura anche a Giorgia Meloni e nessuno nella maggioranza, tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, ha avuto il coraggio di assumersi una gravissima e storica responsabilità politica trasformando gli italiani in cavie umane nel nome del wireless e della potente lobby del 5G.

Alle ore 18, inizio dei lavori prima della chiusura di Palazzo Chigi, la norma era sul decreto, nero su bianco, alle 21 invece era sparita. Peccato che nessun giornalista abbia chiesto lumi in conferenza stampa: il “golpe elettromagnetico” è saltato per la sesta volta consecutiva negli ultimi cinque anni, un filotto di NO che unisce gli cinque esecutivi, da Gentiloni ai due Conte, da Draghi fino alla prima donna premier. Tutti ci hanno provato, incalzati dalle richieste delle multinazionali, ammorbiditi dagli studi negazionisti in conflitto d’interessi. Ma finora, alla prova dei fatti, nessuno ha avuto il coraggio di smantellare una delle norme più cautelative a livello internazionale in tema di inquinamento elettromagnetico, traballante ma vegeta a vent’anni dall’adozione.

Nella scelta c’è tutta l’insicurezza di Giorgia Meloni su una questione delicatissima che non può certo essere affrontata con una decretazione d’urgenza estiva, scavalcando il Parlamento. Hanno pesato le istanze dei cittadini, l’azione encomiabile di attivisti, associazioni e movimenti. Hanno pesato i dubbi e le divisioni della scienza nel valore indiscusso di quella indipendente. Hanno pesato le vibranti proteste dei sindaci, soprattutto di quelli della Lega pressati dai loro conterranei, e poi pure il pressing di alcuni parlamentari della maggioranza e di politici locali di Regioni e Comuni. Insomma, i territori si sono fatti sentire e, almeno per ora, non c’è stato nemmeno bisogno di fare scudo all’interno della Conferenza dei servizi o nelle commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama.

Le Telco ci provavano da tempo, hanno lavorato ai fianchi per anni: il collaborazionismo odierno è dell’atlantista Adolfo Urso, sua la paternità dell’articolo fantasma dall’ultimo dl: “Adeguamento dei limiti dei campi elettromagnetici”, messo nel pre-consiglio di giovedì scorso senza dare troppo nell’occhio in una decretazione d’urgenza prevista dall’ordinamento giuridico solo per casi straordinari di necessità, ma dalla destra valutata in un primo momento per una materia così delicata e complessa che riguarda gli effetti ambientali e sanitari, cioè la salute pubblica di tutti gli italiani e la vita dell’intero ecosistema. Un vero e proprio azzardo, roba da matti! Ma non è finita: Urso, ha comunque ribadito che ci arriverà un dpcm, quindi molto probabilmente da settembre l’esecutivo tornerà sul 5G con un nuovo decreto-legge per azionare l’iter tortuoso che arriverebbe al 2024. Intanto, dopo non averli riconosciuti nella malattia coi livelli essenziali d’assistenza, il dicastero di Schillaci fa sapere ai malati di elettrosensibilità che sull’aumento dei limiti “non ha mai espresso un parere sanitario”, confermando però la volontà di superare i cautelativi 6 V/m. Siamo al salto nel buio!

La questione però non è strettamente sanitaria e, se vogliamo, nemmeno squisitamente tecnica – come vorrebbero far intendere, visto che il 5G funziona benissimo ai più bassi 6 V/m e il 2G addirittura a 0,6 V/m. Snocciolando i dati di una ricerca del Politecnico di Milano, Asstel ha infatti quantificato in 4 miliardi di euro il clamoroso risparmio garantito alle compagnie telefoniche, ottenuto grazie all’innalzamento dell’elettrosmog. Non solo, perché c’è poi pure il patriottismo all’amatriciana in sala internazional-capitalista della Meloni: favorirebbe le straniere Tim (francese), Vodafone (inglese), Wind3G di Hong Kong, Iliad francese e Fastweb svizzera. Il tutto, poi, tentato in fretta e furia al rientro dalla missione di Washington: tra Congresso e Casa Bianca, tra Biden e Kissinger col quale ha parlato anche di Intelligenza artificiale proprio come aveva fatto a Roma con Elon Musk, l’ex giovane post-missina della Garbatella ha preso parte anche al party con le imprese oltre oceano, multinazionali note al suo ‘ambasciatore’ Urso, vero promotore della riforma 24-40 V/m, mentre l’Italia si smarca dagli accordi con la Cina sottoscritti con Di Maio-Conte nel memorandum sulla Via della Seta digitale (col golden power veti su Huawei e Zte).

Quindi la questione è geopolitica e il problema politico, considerato che non esiste una legge seria sul conflitto d’interessi, tanto più se questi legami risultano con potenze globaliste e mondiali. Il fatto è che abbiamo consentito ad un top manager come Vittorio Colao di fare con Draghi il ministro della transizione digitale (24 ore prima di giurare al Quirinale era ancora nel consiglio d’amministrazione di Verizon, il 5G americano, guidato quello europeo con Vodafone) esattamente come verrebbe permesso oggi ad una scienza di dubbia parzialità di assumere la guida della ricerca occidentale, la stessa citata nella norma fantasma dall’esecutivo quando scrive di aumentare l’elettrosmog “alla luce delle più recenti accreditate evidenze scientifiche, nel rispetto delle regole, delle raccomandazioni e delle linee guida dell’Unione europea”. Come giustamente sottolineato da 52 scienziati liberi e indipendenti firmatari di un appello, bisogna urgentemente “approvare una legge sul conflitto di interessi, al fine di obbligare gli esperti chiamati a fornire pareri scientifici in ambito istituzionale a dichiarare pubblicamente le fonti di finanziamento delle loro ricerche, le loro proprietà azionarie in aziende del settore e le consulenze in conflitto con l’interesse pubblico.” Allora sì, ne scopriremo delle belle!

L’ultima cosa, un dato e una riflessione finale: il dato è che la norma sparita avrebbe impegnato entro fine ottobre la Fondazione Ugo Bordoni a fornire un rapporto annuale sulle misurazioni di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, dimenticando però che vale poco sapere i numeri in un fondo naturale terrestre già stravolto dal wireless per un valore di un miliardo di miliardi di volte solo negli ultimi 30 anni. La riflessione è invece che sarebbe finalmente l’ora di promuovere una nuova campagna di studi epidemiologici – dopo l’indagine conoscitiva della Commissione Trasporti della Camera – condotta da enti pubblici e indipendenti per capire cosa succede a chi vive a ridosso delle antenne, irradiato h24 senza soluzione di continuità vita natural durante. Malati cronici, donne incinte, bambini, anziani: che succede? In un paese normale, la tutela e gli interessi dei cittadini verrebbero prima del grande business cosmopolita. O no?

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