La diplomazia continua freneticamente a cercare una soluzione alla crisi innescata in Niger dal colpo di Stato: lunedì la visita di Victoria Nuland, alta responsabile della diplomazia Usa, che è rientrata con un nulla di fatto. E sempre lunedì la giunta golpista ha nominato un primo ministro, Ali Mahaman Lamine Zeine. Intanto si prepara un nuovo vertice straordinario dell’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), previsto per giovedì, in vista del quale le diplomazie dei Paesi membri si muovono febbrilmente per concordare una posizione comune. E, come riporta RFI, a breve una nuova delegazione dovrebbe recarsi nella capitale nigerina Niamey per discutere: stavolta si tratterebbe di una troika, composta da rappresentanti dell’Ecowas, dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite che parleranno ai golpisti a nome della comunità internazionale, chiedendo di ripristinare le disciolte istituzioni della Repubblica.

L’opzione militare resta sul tavolo, ma in molti desiderano scongiurarla. “Anche perché un intervento militare potrebbe degenerare in un conflitto prolungato”, spiega a ilfattoquotidiano.it Domitilla Catalano Gonzaga, analista responsabile del desk Africa per il Centro Studi Internazionali (Cesi). La domanda di fondo è anche un’altra: quanto un Paese come il Niger, già piagato da mille difficoltà economiche, può reggere all’isolamento internazionale, alla chiusura di alcune frontiere e alle sanzioni economiche? “Il Niger non è un Paese in grado di resistere a lungo a questo tipo di sanzioni e anche se sono state riaperte le frontiere verso i sei Paesi confinanti, in questa situazione le condizioni economiche sono destinate a peggiorare. Il Niger è uno dei paesi più poveri al mondo e riceve circa 2 miliardi di dollari all’anno in aiuti allo sviluppo. L’Unione europea per il periodo 2021-24 ha stanziato 500 milioni di euro, circa 135 milioni arrivano dagli Usa, una cospicua fetta arriva dalla Francia ma anche dalla Cina. Oltre a questi 2 miliardi, anche il bilancio dello Stato è sostenuto da partner esterni. Nel 2023, secondo le previsioni, per circa il 40%, ma la crisi in corso porterà altri cambiamenti. Fra questi, ci sarà certamente il mancato rimborso del debito del Niger, con conseguente peggioramento delle condizioni”.

Per questo la via diplomatica resta la preferita, anche da parte dell’Italia. Un intervento militare, come detto, comporta troppi rischi non prevedibili, con una destabilizzazione ulteriore del Paese. “L’Ecowas si riunirà giovedì per decidere come procedere, anche se a livello interno c’è mancanza di unità. In particolare la Nigeria spinge per l’intervento militare, affiancata anche da Costa d’Avorio e Senegal, mentre Ciad e Algeria restano contrari. Mali e Burkina Faso invece, già sospesi dall’Ecowas perché guidati da giunte golpiste, sostengono il Niger e hanno già inviato delegazioni a Niamey per offrire sostegno in caso di invasione”.

Intanto, ci sono le conseguenze delle sanzioni: “L’impatto economico è enorme, non quantificabile, in un Paese che già versa in gravi condizioni socioeconomiche, colpendo maggiormente la popolazione, i più vulnerabili, piuttosto che i golpisti. Non dimentichiamo che il colpo di Stato è stato formalmente innescato dalla volontà di rafforzare la sovranità nigerina e di lottare contro la povertà, ma in realtà sembra esser nato per contrastare il piano del presidente deposto Bazoum che voleva riformare il comando militare e rimuovere il generale Tchiani che ha reagito provocando il golpe. Il fine reale sarebbe dunque la protezione dei privilegi dell’élite militare”.

I golpisti dunque non hanno alcun interesse a recedere dalle posizioni di potere conquistate. Per aggirare le sanzioni, dovranno necessariamente cercare nuovi alleati, come già fatto da Burkina Faso, Mali e altri Paesi africani che hanno subìto sanzioni negli ultimi anni. Ma quali di questi sarà concretamente in grado di offrire un sostegno economico sufficiente? “Esattamente, Burkina Faso e Mali, schierati con il Niger, hanno a loro volta cercato di sostituire i vecchi alleati occidentali (nel Sahel, soprattutto la Francia) con alleati esterni e ciò è avvenuto anche velocemente”.

Il Niger riuscirà probabilmente ad aggirare le sanzioni cercando nuovi partner, ma quali di loro sarà concretamente in grado di fornire un sostegno economico? “Il governo russo è in effetti impegnato su altri fronti e infatti si è detto contrario al golpe, però potrà fare affidamento sul Wagner Group, già presente nell’area e che ha interesse a espandere la propria influenza in quei Paesi perché ricchi di materie prime. La Wagner, come sappiamo, fornisce aiuti miliari in cambio di concessioni di risorse e in Niger è soprattutto l’uranio a far gola. Altri Paesi che potrebbero intervenire sono la Cina e anche l’Iran, a sua volta sotto sanzioni, che è interessato all’uranio del Niger. Probabilmente sono questi tre gli attori pronti a sostenere la giunta golpista. Fra questi, soprattutto Pechino è in grado di intervenire con un sostegno economico, mentre la Russia potrebbe fornire soprattutto sostegno militare. L’Iran, dal canto suo, attraversa già una fortissima crisi economica e non potrà essere d’aiuto al Niger”.

Di fatto, però, nessuno ha interesse a tagliare definitivamente i ponti con il Paese: “Non dimentichiamo che il 25% dell’uranio che arriva in Europa viene dal Niger, quindi non ci sarà chiusura totale dell’Occidente. Vedremo come evolverà la situazione, ma tutti stanno cercando una soluzione diplomatica perché ci sono grandi interessi in ballo. L’Italia stessa spinge in questa direzione perché teme un aumento dei flussi migratori. Ad oggi, la maggior parte di loro arriva dalla Costa d’Avorio (11mila da gennaio) e dalla Guinea (10mila) ed entrambe le rotte passano dal Niger che, facendo parte dell’area di libera circolazione dell’Ecowas, permette di raggiungere facilmente i confini con Libia e Tunisia. Per questo il Niger è un partner chiave per controllare il traffico di esseri umani e per questo l’Italia si sta spendendo per una soluzione diplomatica alla crisi. Un intervento militare avrebbe conseguenze disastrose per l’Europa, sia riguardo al traffico di migranti che per il controllo del terrorismo internazionale”.

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