Mi scuseranno il direttore del giornale e i suoi lettori, se utilizzo questo spazio per ricordare un caro amico scomparso, Riccardo Laganà. Riccardo, dipendente della Rai, era consigliere di amministrazione della sua azienda, al secondo mandato. La legge 220/2015 è stata una pessima legge in quanto ricollocava il “comando” del Servizio pubblico, attraverso nuovi criteri di nomina del vertice, dal Parlamento al Governo. Vediamo in questi giorni quale danno ha determinato tale scelta, nell’occupazione sfrenata, mai vista prima, dell’azienda di viale Mazzini da parte della destra. Un’occupazione che fa “paura” in quanto incrina le legittimità dell’idea di servizio pubblico e (come Riccardo temeva) mette a rischio il suo equilibrio per la perdita probabile dei suoi ascoltatori (vedi lo smantellamento scriteriato di Raitre). La legge introduceva però un aspetto positivo, che fra i sette membri del CdA dell’azienda pubblica fosse presente un rappresentante dei dipendenti, nominato dagli stessi dipendenti. Riccardo aveva ottenuto, per due mandati consecutivi, un ampio consenso da parte dei suoi colleghi, a dimostrazione del suo valore e della stima che si era conquistato.

Lo ricordiamo come uno strenuo difensore del servizio pubblico. È corretto ricordare che la Rai, se vuole veramente essere “difesa”, va puntualmente criticata a fronte delle sue tante manchevolezze, che spesso, per certa stampa e parte dell’opinione pubblica, costituiscono erroneamente la vera essenza dell’azienda. Il termine “servizio pubblico” viene spesso usato a sproposito. Ci sono quelli che lo utilizzano come una sorta di bandiera senza riempire tale concetto con i contenuti e ci sono quelli che lo utilizzano per biasimare la Rai, fino ad ipotizzarne la sua scomparsa.

La Rai non sempre svolge appieno il ruolo di servizio pubblico, lo è quando fa una “buona televisione”, rispettosa dei principi fondamentali, quali il rispetto di tutti, il rispetto dell’altro come persona, la difesa dell’altrui intimità. Insomma la “sua” azienda doveva evitare di fare spettacolo delle devianze, della riduzione della vita fra i sessi al solo richiamo sessuale, la spettacolarizzazione dei fatti delittuosi e la presenza nei dibattiti di risse a scapito del confronto; la “sua” azienda doveva essere rispettosa di tutti (anche dell’ambiente e dei diritti degli animali, temi a lui molto cari). Il pluralismo, visto non come una sommatoria delle varie opinioni, è l’architrave che sorregge il servizio pubblico. Se mancano questi “valori” si arriva all’omologazione, non distinguere più il pubblico dal privato, dalle televisioni commerciali. Ed è allora che l’azienda pubblica rischia di diventare solo uno strumento del consenso della maggioranza di turno e così facendo lentamente scompare.

Riccardo era un tecnico. Un tecnico che si è confrontato alla grande con il management della Rai (il settore più sensibile alla lottizzazione politica). Sarà ricordato come l‘unico che abbia difeso a spada tratta il personale della Rai, il vero baluardo dell’azienda, il famoso “partito azienda”. Quante arrabbiature per l’abuso di maestranze esterne e per la sottovalorizzazione di quelle interne! Se la Rai esiste è grazie ai suoi tecnici, che fanno scuola di bravura in tutti i settori produttivi.

Diversi anni fa avevamo progettato di realizzare una sorta di pièce teatrale che rivelasse, con interventi di vari esperti, il declino della cultura in Italia attraverso la storia della Rai. Si voleva difendere l’idea che la cultura fosse alla portata di tutti, non prerogativa di pochi. Le vicende della vita hanno fatto rimandare quel progetto. Ora definitivamente.

Ti ho voluto bene, Riccardo. Penso che sia un sentimento che accomuna tutti quelli che ti hanno conosciuto, semplicemente perché eri buono e capace.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

È morto Riccardo Laganà, consigliere Rai eletto dai dipendenti: aveva 48 anni. “Ha dato voce a chi lavora nel servizio pubblico”

next
Articolo Successivo

“Influencer come i media? Provvedimento dell’Agcom dirompente, ecco perché”: l’analisi del docente di diritto dell’informazione

next