“Al di là di qualche corteggiamento, per ben due volte in maniera pesante da parte di due produttori importanti, di cui non posso rivelare i nomi”. Vittoria Belvedere parla delle proposte indecenti ricevute sul set nel corso della propria carriera. “La prima volta avevo 18 anni e lui intorno ai 70… Era apparentemente un gran signore e mi fece intendere che, per fare carriera nel nostro mondo, occorreva avere qualcuno alle spalle su cui contare” spiega in un’intervista al Corriere della Sera, “Avevo già partecipato a un suo film e una sera, mentre mi accompagnava in hotel, azzardò delle avances… Io, elegantemente, lo respinsi, scesi dall’auto e non l’ho mai più chiamato… L’altro, invece, produceva una serie importante, per la quale avrei dovuto fare, a breve, un provino. Andammo nel suo ufficio, per prendere il copione su cui dovevo prepararmi. Ci sedemmo sul divano e lui, con la scusa di porgermi il testo, mi è saltato letteralmente addosso. Era un omone, alto e pesante, non so come sono riuscita a respingerlo, a togliermelo di dosso… A un certo punto gli ho detto: perdonami, forse ti ho fatto capire cose sbagliate… forse hai pensato che ero disponibile… Poi me ne sono andata e, nei giorni successivi, non mi sono presentata al provino”.
E sul senso di colpa che spesso nasce in una donna quando si trova, pur suo malgrado, in una situazione simile afferma: “Non mi ero presentata in minigonna e con la camicetta sbottonata… sono una tipa mascolina, non femminile, e anche quella sera indossavo i pantaloni, il maglione accollato… Però purtroppo noi donne ci sentiamo spesso, a torto, colpevoli di provocare il maschio arrapato… è un nostro assurdo limite”.
Nel corso della lunga chiacchierata Belvedere parla anche del razzismo subìto da bambina a causa delle sue origini: “Avrò avuto 7 o 8 anni e ho subìto vero e proprio razzismo, perché ero meridionale: una calabrese emigrata in Brianza. Nel palazzo dove abitavamo (a Vimercate, ndr) c’erano tutte famiglie brianzole e, se in cortile giocavo con gli altri bambini, le loro mamme li portavano via dicendo: non giocate con lei, è una terrona. D’altronde già il mio nome era un marchio di meridionalità, e poi mio fratello si chiamava Santino, mio padre Giuseppe, mia madre Maria…”.