Chi festeggia per il mancato abbattimento dello stadio deve anche pensare a cosa farne nel prossimo futuro. O l’Inter cambia idea o ci vuole un’intuizione veramente geniale.
Qual è la fine più oltraggiosa per un tempio del calcio? Essere demolito e poi rimpiazzato da uno stadio di nuova generazione oppure rimanere in piedi, ma disertato delle squadre che ne hanno scritto la gloriosa storia? Personalmente avrei avuto difficoltà a scegliere, ma nel caso di San Siro il problema non è più attuale: a meno di colpi di scena, il vincolo di interesse culturale da parte della Soprintendenza porrà fine al dilemma, cancellando l’ipotesi dell’abbattimento.
Un’ipotesi, peraltro, non certo priva di aspetti inquietanti, a cominciare dal gigantesco impatto ambientale e, considerazione forse ancora più rilevante, proseguendo con un contesto urbanistico quantomeno discutibile. Prendere in considerazione la demolizione avrebbe avuto senso unicamente a fronte di un progetto di nuova edificazione in una parte meno congestionata della città, e non nei quartieri dove da sempre la concentrazione di traffico per partite e concerti causa problemi ben noti sia ai residenti che alla politica. Una zona che oltretutto aspetta da tempo un’idea credibile di riqualificazione e soprattutto dei capitali per sostenerla. Non sarà questa l’occasione.
Al contrario, l’idea di tirar giù il Meazza per costruire un altro impianto proprio accanto alla struttura attuale o in subordine nel contiguo Ippodromo della Maura (oltretutto nel Parco Agricolo Sud) non poteva che spaccare la città tra favorevoli e contrari.
La spinta delle squadre verso la nuova edificazione è motivata da diverse considerazioni, compresi i vantaggi inseriti nella vigente normativa sugli stadi. Un legittimo interesse privato. Nel tutelare quello pubblico, il Comune di Milano non aveva esattamente il coltello dalla parte del manico, ma questo dato di fatto è stato ampiamente sottovalutato. Molti sedicenti bene informati avevano fatto persino spallucce di fronte all’ipotesi che i club emigrassero in altri comuni, bollandola come una “minaccia” poco credibile e alla quale comunque non ci si doveva piegare. I passi effettivamente compiuti dal Milan hanno dimostrato la scarsa lungimiranza di queste posizioni.
L’imminente vincolo (peraltro ampiamente previsto, non certo un’epifania) è solo l’ultimo anello di questa catena di eventi. Un percorso rivelatosi una vera e propria via crucis di errori strategici e comunicativi, nella quale si è dato parola a tutti tranne che ai cittadini, i legittimi proprietari di San Siro. È in conseguenza di tutte queste fasi, non solo dell’ultima in ordine di tempo, che ora ci troviamo di fronte a una domanda di non semplice soluzione: che fare di uno stadio che resterà in piedi, ma senza Milan e Inter come inquilini? C’è vita oltre il calcio?
I concerti sono una risorsa eccezionale ma solo per l’estate, a meno che non si costruisca una copertura totale come quella dello stadio di Amsterdam. Ma a spese di chi? E con quale business plan? Lasciare spazio agli altri sport sarebbe affascinante e nobile, ma poco sostenibile sul piano economico. Purtroppo in Italia nessun altro sport tiene il passo del calcio maschile, che pure ha i suoi problemi, e il percorso accidentato del professionismo in quello femminile dimostra che per certi cambiamenti non basta una legge, ma serve una più complessa evoluzione culturale che francamente non pare alle porte. La curva di popolarità del rugby, che nel 2009 riempì il Meazza per la sfida tra gli Azzurri e gli All Blacks, è ben lontana dal suo apice.
Tra le altre ipotesi sin qui presentate spicca per bizzarria quella della parete per il climbing, ma nel complesso nessuna ha sgombrato il campo dai dubbi. Ora si ipotizza una rifunzionalizzazione del secondo anello, che diventerebbe una galleria commerciale grazie all’impiego di capitali privati: se e quando ci sarà un progetto concreto, se ne potrà discutere. Ad oggi, invece, l’ottimismo sbandierato in alcune dichiarazioni pubbliche ricorda la scena del sequel de L’aereo più pazzo del mondo, quando una scritta lampeggiante invita i passeggeri a non farsi prendere dal panico anche se il velivolo sta cadendo, per poi concludere mestamente: “Ok, panic”. Chi festeggia la presa di posizione della Soprintendenza ha certamente le sue ragioni, ma deve anche preoccuparsi di come dare un futuro alla Scala del calcio. Altrimenti finirà in uno scenario distopico, come quello immaginato per la copertina del disco Devastante de Il Pagante, dove si immaginava uno stadio-rudere, semicoperto dalla vegetazione spontanea.
La vicenda-San Siro ha diviso l’opinione pubblica peggio di un gol annullato nel derby, ma adesso il fatto che la situazione sia davvero molto difficile è un fatto oggettivo. Stadi come Wembley e Highbury, non meno blasonati, sono stati demoliti senza lasciare rimpianti. C’è chi spera che San Siro venga ristrutturato, come il Camp Nou e il Santiago Bernabeu, ma c’è il piccolo particolare che le squadre paiono avere tutt’altra idea. Il rischio è che finisca, restando a Milano, come l’Arena Civica intitolata a Gianni Brera: piena di storia e di fascino, ma svuotata ormai da tempo degli eventi clou.
Pur se protetto dal vincolo, San Siro non è il Colosseo. Quindi è veramente difficile immaginare un futuro degno, senza una destinazione d’uso adeguata. E questa non può che arrivare da un clamoroso ripensamento dell’Inter o da un’idea manageriale innovativa. L’eventuale passo indietro dei nerazzurri dovrebbe però essere giustificato da un progetto sportivo ed economico credibile, non certo da una mancanza di alternative che rappresenterebbe solo un rinvio del problema. In quanto all’idea manageriale, per sbloccare questo stallo andrebbe partorita in fretta e dovrebbe essere davvero brillante. Talmente brillante, che, almeno per ora, noi comuni cittadini milanesi preoccupati non riusciamo nemmeno a intravederla all’orizzonte.