Tra il suicidio in carcere di una donna detenuta con problemi psichiatrici che, non potendo vedere suo figlio di quattro anni, decide di lasciarsi morire di fame e di sete, e il suicidio del principale luogotenente di Adolf Hitler, condannato all’impiccagione al processo di Norimberga per i peggiori crimini di guerra, ci dovrebbe correre un bel po’. Invece, per il guardasigilli Carlo Nordio, il collegamento è lapalissiano: la morte di Susan John, 43enne nigeriana che ha rifiutato il cibo fino alla morte alle Vallette di Torino, può essere paragonata all’estremo gesto di Hermann Göring, il gerarca nazista delle SS che inghiottì una capsula di cianuro nella sua cella per evitare il patibolo.
Per rispondere ai giornalisti che chiedevano se si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare la morte di John, rimasta senza alimentazione per venti giorni, Nordio ha risposto che era “sotto strettissima sorveglianza“. Esattamente come Göring, il quale, nonostante fosse controllato a vista, è riuscito a suicidarsi ottenendo, probabilmente da un complice, una pillola di veleno letale. “In questi casi non c’è sorveglianza che tenga – ha spiegato Nordio -. Anche al processo di Norimberga due persone si sono suicidate nonostante avessero lo spioncino aperto 24 ore su 24″, ha proseguito il ministro, riferendosi a Göring e a Robert Ley, capo del Fronte tedesco del lavoro che si suicidò prima dell’inizio del processo. Göring, invece, si tolse la vita la notte prima dell’esecuzione: pare che avesse corrotto un addetto alla custodia statunitense per farsi passare tra le sbarre una capsula di veleno.
Secondo Nordio il suicidio è un “fardello di dolore” legato a “ragioni imperscrutabili”: “Non esiste un mistero più insondabile nella mente umana come quando decide di adottare soluzioni così estreme”. Un altro mistero, sicuramente meno insondabile, è come abbia fatto Nordio a collegare il suicidio di Susan John a quello dei nazisti a Norimberga.