Ho letto l’ultimo articolo di Francesco La Licata, pubblicato su La Stampa col titolo “Quando la mafia uccideva d’estate” e mentre leggevo mi sono commosso. La Licata riporta fedelmente la funesta storia di tre poliziotti, Beppe Montana, Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, assassinati da Cosa nostra. Alla loro morte poi si è aggiunta quella di Natale Mondo, poliziotto rimasto vivo nell’agguato a Cassarà e ucciso dopo tre anni. Per dovere di cronaca, devo dire che vi è stata un’altra vittima, il favoreggiatore dei killer di Montana, Salvatore Marino, ucciso all’interno della Squadra mobile di Palermo, a seguito di torture.
Riporto alcuni stralci dell’articolo di La Licata, riferiti al giorno dell’uccisione di Montana: “Ovviamente aveva invitato il suo capo e amico, Ninni, e la moglie Laura. E aveva aggiunto un gruppetto di amici, quasi tutti cronisti, tra cui il sottoscritto. Nessun altro poliziotto, perché Beppe e Ninni non erano proprio a loro agio con molti colleghi e superiori della mobile di Palermo, tranne poche eccezioni (come l’ispettore Pippo Giordano e l’agente Natale Mondo, due macchine da guerra)”. Ebbene, nell’articolo si citano particolari, e io oggi vorrei renderli più dettagliati.
Intanto giova dire che mi sento in colpa per non aver tradito la parola d’onore data a Montana. Un paio di mesi prima della sua morte, entrambi ci recammo dal proprietario della villa di Mongerbino, che Montana voleva affittare per trascorrere l’estate insieme alla sua fidanzata Assia. Io non ero affatto d’accordo che lui prendesse quella villa, perchè già in passato era stato “invitato” a lasciar la casa di Aspra – poco distante di Mongerbino – su pressione dei mafiosi di Ciaculli che soggiornavano proprio in quella borgata. Alla mia contrarietà, Beppe mi fece promettere di non farlo sapere a Cassarà. E così fu, non dissi nulla.
Continua l’articolo: “E anche la scelta della villa di Mongerbino di quella domenica funesta non sembra fosse dettata esclusivamente dalla bellezza naturale di Capo Zafferano. No, sembra che Beppe fosse riuscito ad «agganciare» una donna, l’amante del killer Pino Greco detto «Scarpuzzedda» (uno dei tre killer che lo avrebbero ucciso), e questa gli avesse rivelato uno dei luoghi dei suoi incontri amorosi col boss: una villa a Mongerbino, non lontana da quella presa in affitto dal poliziotto”.
La donna in questione era stata tratta in arresto dal sottoscritto, in esecuzione di un mandato di cattura per traffico internazionale di stupefacenti. E, nel corso dei nostri dialoghi, si tradì, fornendoci l’indicazione della villa. Dopo anni, la donna fu oggetto di attentato, come mi raccontò l’autore, poi pentitosi. La donna, davvero bellissima, fu ferita da colpi d’arma da fuoco che le sfigurarono il viso.
Comunque, dalle poche indicazioni involontarie che la donna ci aveva fornito, io e Montana localizzammo la villa di Mongerbino, nascondendoci per alcuni giorni nella pertinenza, con lo scopo di sorprendere Scarpuzzedda.
Vorrei concludere ringraziando di cuore Francesco La Licata, per aver ricordato il sacrificio di Montana, Cassarà, Antiochia e Mondo. Mi permetto di ricordare Lillo Zucchetto, anche lui della nostra sezione investigativa, ucciso il 14 novembre 1982. La sua colpa? Aver arrestato uno degli uomini più vicino a Totò Riina, Salvatore Montalto. Il mio affettuoso pensiero va ai ”miei migliori amici”, coi quali condivisi gioie e dolori. Sì, eravamo poliziotti, ma soprattutto uomini che sognavano di sconfiggere il male. Tra noi non esisteva differenza di grado, ci accomunava la stima e la grande fiducia. Eravamo uniti, ma terribilmente abbandonati: eravamo soli, soli e soli.
Il giovane cronista dei primi anni 80, Francesco “Cicciu” La Licata, non sostava fuori dalla Squadra mobile di Palermo, ma frequentava i nostri uffici: ci fidavamo ciecamente di lui e giammai, pur “sapendo”, ci tradì scrivendo notizie ancora riservate. Infine, racconto un episodio divertente. Io e Ninni Cassarà, transitando nei pressi della sede del Giornale di Sicilia, decidemmo di andare a salutare Ciccio La Licata. Egli ci accolse nel suo ufficio e mentre stavamo conversando, udimmo dalla sua radio/scanner che la Centrale operativa della Questura allertava le pattuglie dell’ennesimo omicidio a Palermo. La Licata, quindi, aveva la radio sintonizzata sulla frequenza delle Volanti. Non posso riferire la battuta che facemmo a Ciccio, però ci abbandonammo ad una risata collettiva.