E’ in California, in particolare a Los Angeles e nella Silicon Valley, che si profila il primo scontro di classe del tecnocapitalismo. I personaggi in causa sono da una parte gli studios hollywoodiani e l’intelligenza artificiale (AI) e dall’altra i sindacati degli autori e quelli degli attori. Alla tradizionale dicotomia tra capitale e lavoro si è dunque aggiunto un nuovo personaggio, AI.

L’evento è storico a prescindere dal fatto che per la prima volta dal 1960, per esempio durante le lotte per l’assistenza sociale e sanitaria in California, autori ed attori scioperano congiuntamente; ma perché lo fanno contro l’avvento di un nuovo nemico, quello digitale, che guarda caso è stato prodotto dai veterani della californiana Silicon Valley. Sebbene AI abbia fatto il suo ingresso in quasi tutti i settori produttivi e in diversi angoli di mondo, è nell’industria dell’intrattenimento, il cui quartier generale è a Los Angeles, che il pericolo che questa rappresenta per la forza e il mercato del lavoro è più visibile. Gli studios hanno infatti già usato AI per ottenere risultati inconcepibili solo pochi anni fa. L’intelligenza artificiale ha fatto ringiovanire attori come Harrison Ford nell’ultimo film di Indiana Jones, ne ha resuscitati altri, per esempio Peter Cushing morto nel 1994 e ricomparso nel 2016 in Rogue one: a star wars story, ha persino creato digitalmente le immagini e la voce di attori senza la loro partecipazione fisica.

AI è ormai usata di routine dagli studios per alterare gli script degli autori e nelle selezioni delle proposte cinematografiche e delle serie televisive. L’algoritmo, non i produttori, decide la durata delle serie sulla base di dati di audience e su altri parametri pescati nel web. E dato che, almeno per ora, AI è condizionata dai pregiudizi di Internet, il sindacato degli autori rifiuta di accettare questa pratica.

Ma il nocciolo della questione è nel copyright, nella proprietà intellettuale e dell’immagine. La domanda chiave è: chi è il proprietario del contributo di AI? Gli studios argomentano che tutto ciò che AI produce è di loro proprietà, tesi contestata da attori e autori. Facile intuirne il motivo: se AI può riprodurre le immagini e la voce di Capitan Solo delle Guerre Stellari o di Indiana Jones senza Harrison Ford e resuscitare in video Cushing, le conseguenze per l’industria cinematografica sono enormi e disastrose per gli attori. In primis non c’è più bisogno di pagare Ford, dal momento che non recita, e personaggi come Greta Garbo possono tornare sullo schermo decenni dopo la loro morte. In secondo luogo, le opportunità per i nuovi attori si riducono: perché cercare il nuovo Tom Cruise per Mission Impossible se AI può farlo recitare digitalmente in eterno? In terzo luogo, se si può girare un film senza la presenza fisica delle star, neppure quella degli altri personaggi è necessaria, in un futuro non troppo lontano AI potrebbe produrre tutto il cast digitalmente. I costi di produzione per gli studios scenderebbero vertiginosamente.

Discorso analogo si può fare per gli script. AI al momento viene solo usata per alterare parte dei contenuti in linea con le preferenze del pubblico e alle royalties degli autori viene tolta la percentuale prodotta da AI; in un futuro non troppo distante AI sarà sicuramente in grado di produrre script originali sulla base di semplici idee o concetti, a quel punto gli autori verranno ridotti a scout di idee e lo loro royalties svaniranno.

La prima conseguenza dell’ingresso trionfale di AI nell’equazione del capitalismo hollywoodiano è la drastica riduzione di manodopera in tutta l’industria. Meno attori e meno autori si traduce in meno persone impiegate nelle produzioni, ma non meno profitti; al contrario abbattendo i costi senza variare la qualità questi salgono. Paradossalmente, dunque, la contrazione dell’occupazione nell’industria non produce una caduta dei ricavi. E’ questo il sogno degli studios?

Al momento i sindacati degli autori lottano per un contratto triennale, quindi a corto raggio. Ma fanno bene a scioperare oggi piuttosto che tra tre anni, perché la velocità con la quale AI e la tecnologia dell’immagine e del suono viaggiano rende l’innovazione tecnologia un pericolo incombente. E’ una fortuna che il sindacato degli attori abbia intuito il pericolo e che altre categorie dell’industria alberghiera e della ristorazione si siano unite allo sciopero. AI va fermata adesso attraverso legislazioni ad hoc che blocchino la sostituzione della tradizionale forza lavoro con quella digitale, AI va fermata adesso prima che sia troppo tardi e ridisegni il capitalismo senza la forza lavoro.

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