È trascorso poco più di un mese da quando l’ingresso al Pantheon, uno dei principali monumenti di Roma, è diventato a pagamento, il 3 luglio scorso. E, con una certa enfasi, il ministero della Cultura ha reso noto che nello stesso periodo i visitatori sono stati 230mila, per un incasso totale di circa 866mila euro. Fino a poco più di un mese fa, l’accesso al Pantheon – tra gli edifici dell’antichità classica meglio conservati nella Capitale – era gratuito. Adesso invece si pagano 5 euro (3 euro tra i 18 e i 25 anni, ingresso gratuito fino a 18 anni e per i residenti a Roma) e la decisione – suggeriscono i dati – ha avuto come effetto un calo degli ingressi. A questo punto meglio far parlare i numeri, che non sono opinabili.
Nel 2019 – ultimo anno delle rilevazioni del Sistan (Sistema statistico nazionale) prima del Covid – furono registrati ben 9.330.835 visitatori non paganti, con una media mensile di circa 777mila visitatori. Nel primo mese a pagamento il numero si è ridotto a meno di un terzo. Se questa media si confermasse per altri 11 mesi, al massimo gli ingressi potrebbero arrivare a 2 milioni e 760mila, una quota lontana dai 9 milioni di quattro anni fa. Dal ministero affermano che comunque i 230mila visitatori paganti del primo mese rappresentano un dato “sopra le aspettative”. Ovviamente, però, dipende da “quanto basse fossero queste aspettative”, come ha scritto in un tweet l’associazione “Mi riconosci” che riunisce studenti, precari e professionisti dei beni culturali.
Non sappiamo quanto basse fossero, queste aspettative. Ma, trattandosi di monumenti pubblici, finanziati dalle nostre tasse, la domanda da porsi è un’altra: è giusto più che dimezzare i visitatori al fine di aumentare gli incassi?
https://t.co/3I6FAHdwSO— Mi Riconosci? (@miriconosci) August 8, 2023
Di fronte all’impietosità di questi numeri, resta però la somma incassata durante il primo mese di apertura del Pantheon a pagamento, cioè 866mila euro. Ed è questa la differenza che probabilmente interessa al ministero della Cultura, che – non certo da oggi e con gli input di governi di ogni colore – sembra essere sempre più azienda e sempre meno ente preposto all’educazione: far cassa, sfruttando la massimo il patrimonio, ormai considerato una ricchezza al pari di un giacimento di petrolio, che può essere condiviso, purché ciò non avvenga gratuitamente, bensì dietro il pagamento di un biglietto.
Ma il nostro patrimonio culturale non va considerato come petrolio, un bene che prima o poi finisce, che inquina e distribuisce ricchezza a pochi. Il patrimonio culturale italiano – che il mondo ci invidia e per il quale ci sono persone disposte a farsi anche 20 ore di aereo pur di “far l’inchino” alle opere dei vari Michelangelo, Botticelli, Raffaello, Tiziano, Caravaggio – è un bene da tutelare e conservare, ancor prima che da valorizzare, che educa e dà speranza. Il suo mantenimento costa e, come indica chiaramente la Costituzione all’articolo 9, appartiene alla Nazione, cioè ai cittadini. Ciò significa che ognuno di noi è tenuto a contribuire alla sua salvaguardia, ma senza lasciar fuori nessuno dai musei e dai parchi archeologici.