“Mai più la guerra!”. È il grido pronunciato da tutti i pontefici dell’ultimo secolo che hanno sempre ribadito la ferma condanna della Chiesa cattolica al ricorso alle armi. Una posizione pacifista che si è affermata soltanto dopo la fine dello Stato Pontificio con la breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870, visto che in precedenza i papi avevano un loro esercito. Benedetto XV, nel 1917, definì la prima guerra mondiale una “inutile strage”. Pio XI, nel 1938, cercò di scongiurare la seconda guerra mondiale: “Mentre milioni di uomini vivono ancora in ansia per l’incombente pericolo di guerra e per la minaccia di stragi e rovine senza esempio, noi accogliamo nel nostro cuore paterno la trepidazione di tanti nostri figli e invitiamo vescovi, clero, religiosi, fedeli ad unirsi a noi nella più fiduciosa insistente preghiera per la conservazione della pace nella giustizia e nella carità”. Lo stesso fece l’anno successivo, nel 1939, Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo”. Come è noto, entrambi furono inascoltati.
San Giovanni XXIII, nel 1962, all’apice della guerra fredda, riuscì, invece, a evitare un conflitto atomico mondiale durante la crisi dei missili di Cuba, rivolgendo un drammatico e accorato appello di pace a tutti coloro che avevano la responsabilità del potere: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace, pace!”. Roncalli, inoltre, esattamente sessant’anni fa, l’11 aprile 1963, lasciò al mondo la sua enciclica-testamento, Pacem in terris, pubblicata poco meno di due mesi prima della sua morte: “Gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra”. Parole di grande attualità, soprattutto per la costante minaccia di una guerra nucleare.
San Paolo VI, il 4 ottobre 1965, fu il primo Papa a parlare all’Onu in nome, come disse in quell’occasione, della Chiesa “esperta in umanità”: “Non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: ‘L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità’. Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità!”.
San Giovanni Paolo II, che intervenne due volte all’Onu, nel 1979 e nel 1995, in ventisette anni di pontificato ha sempre condannato con fermezza il ricorso alle armi. Lo ha fatto, come ha ricordato più volte, con la drammatica esperienza delle dittature, nazista prima e comunista dopo, avendo negli occhi gli orrori della seconda guerra mondiale e dei campi di concentramento nazisti nella sua Polonia. Wojtyla aveva conosciuto bene l’ignobile sentimento antisemita e aveva sofferto per le torture disumane che avevano subito tanti suoi amici ebrei: “Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: ‘Mai più la guerra!’, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!”. Eppure, il suo lungo pontificato, che ha visto, il 9 novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino, alla quale ha decisamente contribuito proprio Wojtyla, è stato costellato di guerre.
L’11 settembre 2001 il Papa polacco, che aveva auspicato un terzo millennio di pace, seguì con sgomento in dirette televisiva il tragico attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York, un vero e proprio attacco alla democrazia occidentale. “È stato – commentò Wojtyla – un giorno buio nella storia dell’umanità, un terribile affronto alla dignità dell’uomo. Appena appresa la notizia, ho seguito con intensa partecipazione l’evolversi della situazione, elevando al Signore la mia accorata preghiera. Come possono verificarsi episodi di così selvaggia efferatezza? Il cuore dell’uomo è un abisso da cui emergono a volte disegni di inaudita ferocia, capaci in un attimo di sconvolgere la vita serena e operosa di un popolo”. E aggiunse: “Dinanzi ad eventi di così inqualificabile orrore non si può non rimanere profondamente turbati. Mi unisco a quanti in queste ore hanno espresso la loro indignata condanna, riaffermando con vigore che mai le vie della violenza conducono a vere soluzioni dei problemi dell’umanità”.
Benedetto XVI, nel 2008, intervenne all’Onu sulla scia di quanto avevano fatto Montini e Wojtyla, ribadendo la convinta posizione pacifista della Chiesa cattolica: “Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione – il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza – esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad un grado superiore di orientamento internazionale, ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale”.
È sotto gli occhi di tutti l’impegno di Francesco contro ogni guerra, in particolare la sua determinazione per la fine del conflitto in Ucraina. Bergoglio ha anche affidato una missione di pace al cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna. “La guerra in Ucraina, – ha denunciato il Papa – già alla vigilia del suo inizio, ha interrogato ciascuno di noi. Dopo gli anni drammatici della pandemia, quando, non senza grandi difficoltà e molte tragedie, stavamo finalmente uscendo dalla sua fase più acuta, perché è arrivato l’orrore di questo conflitto insensato e blasfemo, come lo è ogni guerra? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra giusta? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra santa?”. E ha aggiunto: “Il grido dei bambini, delle donne e degli uomini feriti dalla guerra sale a Dio come una preghiera struggente per il cuore del Padre. A quante altre tragedie dovremo assistere prima che tutti coloro che sono coinvolti in ogni guerra comprendano che questa è unicamente una strada di morte che illude soltanto alcuni di essere i vincitori? Perché sia chiaro: con la guerra siamo tutti sconfitti! Anche coloro che non vi hanno preso parte e che, nell’indifferenza vigliacca, sono rimasti a guardare questo orrore senza intervenire per portare la pace”.
Francesco, quarto Pontefice a intervenire all’Onu, nel 2015, è stato anche il primo Papa a prendere la parola al Congresso americano, chiedendo l’abolizione della pena di morte e della vendita delle armi. Nel 2018 Bergoglio ha cambiato il Catechismo della Chiesa cattolica, stabilendo che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Il Papa ha voluto anche ribadire che la Chiesa “si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. Appello che Francesco rinnova spesso come quello per il disarmo: “Preoccupa quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul futuro dei figli. E questo è vero. Mi diceva l’economo che il migliore reddito di investimenti è nella fabbricazione di armi. Si investe più sulle armi che sul futuro dei figli”. Parole, come quelle per la pace, che il Papa non si stanca di ripetere, unendole sempre a uno sforzo diplomatico e umanitario per la fine di tutte le guerre.
Twitter: @FrancescoGrana