Nell’anno flop per il turismo italiano crescono gli occupati nel comparto ma non la qualità dei profili professionali. Ad attestarlo sono i Consulenti del lavoro che, in uno studio pubblicato il 12 agosto, notano come “quello dell’accoglienza e della ristorazione rimane, in Italia, un comparto dove professionalità e qualità dei profili fanno fatica a crescere”. La Filcams Cgil, che da due mesi conduce una campagna nelle maggiori destinazioni turistiche per informare i lavoratori dei loro diritti, sottolinea che “il lavoro nel turismo è per il 70% irregolare, per il 60% a tempo parziale, per il 55% a chiamata, per il 40% precario e per il 20% stagionale“. E le retribuzioni “sono notevolmente inferiori rispetto alla media degli altri settori economici e produttivi: basti pensare che l’80% dei lavoratori è inquadrato ai livelli più bassi dei contratti nazionali di settore”.
Tra il primo trimestre 2022 e lo stesso periodo del 2023, secondo l’indagine della Fondazione Studi consulenti del lavoro presieduta da Rosario De Luca, marito della ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, il numero degli occupati nel turismo “è passato da 1 milione 259mila a 1 milione 388mila, con un saldo positivo di 130mila occupati in più, corrispondente a circa un quarto (25,3%) dei nuovi posti di lavoro creati nel corso dei 12 mesi”, arrivando oltre i livelli pre Covid. Ma alla crescita degli occupati “non corrisponde, però, un aumento dei profili professionali impegnati nel settore”. Su 100 lavoratori, “solo il 17,1% rientra tra le professionalità ad alta qualificazione, come manager, direttori, imprenditori e specialisti del settore. La gran parte (73,9%) presenta una media qualificazione, come addetti alle vendite, ai servizi, al marketing, mentre la quota delle figure a bassa qualificazione (addetti pulizie, magazzinieri, fattorini) è di circa il 10%”.
E ancora: il turismo è “il settore dove ovunque, ma perlopiù in Italia, si registra il più alto livello di overqualification: su 100 persone con un elevato livello formativo, 72 sono impiegate in posizioni per cui non è richiesto il grado di istruzione conseguito. Considerando l’intera economia, il dato si attesta al 22%.”