Persino i primi ballerini della Scala Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko si sono lasciati trascinare dalle note travolgenti della pizzica. Nel giorno del loro matrimonio a Galatina, nel Salento, hanno danzato così com’erano vestiti, senza coreografie e con movimenti spontanei dettati dal cuore. Perché il ritmo della pizzica ti entra dentro e devi per forza ballare. Che tu sia una prima ballerina alla Scala o un impiegato delle Poste, un contadino o una barista, un casalingo o una manager.
Se poi sei Sua Altezza Serenissima principessa Carolina di Monaco, allora il tuo innamoramento per la pizzica può farti decidere di dedicare a questo ritmo un grande evento pubblico per tutti i monegaschi. Da sera a mattino nella piazza del Casinò di Montecarlo. Una festa della danza dove a far da protagonista con la sua band dal vivo è proprio lui, di famiglia reale ma in senso musicale: Antonio Castrignanò, il re della pizzica. “Pizzica e taranta coinvolgono e trascinano chiunque. Sono ritmi contagiosi – spiega -, fanno parte di un linguaggio di integrazione globale potente. In grado di curare, anche solo per un attimo, i mali dello spirito, l’ansia e lo stress della società moderna”.
Castrignanò il 23 agosto farà tappa con il suo gruppo di musicisti a Sternatia, in provincia di Lecce. Al Festival itinerante la Notte della Taranta. il cui evento clou è il Concertone di Melpignano il 26 agosto. Una delle tappe più ambite, di quelle che fanno ballare migliaia di persone. “Stiamo portando da maggio in tour in Italia e all’estero il nostro ultimo lavoro, Babilonia”, racconta. Un viaggio corale dove alle tradizioni del Salento si intrecciano melodie e ritmi provenienti dall’Africa sub Sahariana, dalla Turchia, dall’India. “Abbiamo toccato decine di piazze e festival. Dal recente concerto di Carpino in folk nel Gargano, lo scorso il 10 agosto, alla Festa della danza di Montecarlo, l’8 agosto”.
Il Salento è una tappa obbligata per i Taranta Sounds, la band formata da Rocco Nigro (fisarmonica), Giuseppe Spedicato (basso), Maurizio Pellizzari (chitarre), Luigi Marra (violino e mandolino), Gianni Gelao (bouzouki e zampogna). Castrignanò è la voce, ma suona anche tamburo e mandola e con lui da poco c’è anche il figlio Emanuele, alle tastiere. Alle volte, fra un brano e l’altro, racconta la storia di questa musica legata alla terra. Parla del potere curativo della taranta che un tempo accompagnava il rituale del tarantismo, una danza di liberazione. E della pizzica che faceva da sfondo a momenti gioviali di feste paesane. E’ stato il nonno che lavorava nei campi a trasmettergli la passione e le abilità.
Quando suona Castrignanò sul palco indossa sempre la sua inseparabile canottiera. Un indumento che si compra al mercato del paese e che per lui rappresenta la semplicità del lavoro e le sue origini popolari. “Vengo da Calimera di Lecce, un paesino della Grecìa salentina, non sono nato certo con la camicia”. Non si è cambiato neppure per incontrare Carolina di Monaco lo scorso 8 luglio alla Festa della danza diretta dal coreografo dei Balletti di Montecarlo Jean-Christophe Maillot. La celebrità del balletto internazionale ha scelto le sue musiche per la creazione dello spettacolo Core meu in tournée nel mondo. E dopo lo spettacolo lo ha invitato al rinfresco all’Hotel de Paris con la principessa Carolina e gli altri ospiti.
Rivela: “Ho messo una giacca sopra la canottiera e via. Non sarà stato un dress code prefetto ma Carolina, che ballava con il principe Alberto dalla terrazza durante il nostro concerto, apprezza me come artista e non le interessa proprio come mi vesto. Adora la nostra tradizione musicale ed è convinta che l’arte sia per tutti. Nessuno snobismo, anzi”. Ma qual è l’abbigliamento adatto alla pizzica e alla taranta? “Piedi scalzi, gonnellone, fazzoletto rosso in mano e corpetto chiaro per le donne, pantalone nero e camicia bianca per gli uomini – spiega – che si muovono simboleggiando il corteggiamento”. La donna sfugge e poi ritorna fino a che non lascia cadere a terra il fazzoletto.
“Ma questo, sia chiaro, è folclore, frutto dell’immaginario stereotipato”, precisa Castrignanò. “E’ ben diverso il clima che portiamo noi nelle piazze, dove ciascuno balla come vuole perché la musica del passato possa rivivere oggi”. Nel tarantismo il rituale di guarigione prevedeva la presenza di un lenzuolo bianco per la ‘tarantata’ (la donna vittima del morso dal ragno) che, in uno stato confusionale di abbandono, attraverso la musica si liberava dal male e tornava alla vita quotidiana e alla società. “Oggi non c’è più bisogno di questo – chiarisce – mantenere l’identità del tarantismo è possibile. Significa attualizzare questa tradizione potente. Aggiungere, per esempio, la chitarra elettrica”.
Il 22 settembre la band sarà al Müpa Festival di Budapest: “C’è un mondo fuori dall’Italia che guarda alle origini della nostra musica popolare, ad un sapere che richiama le nostre radici mediterranee. Nuovi progetti? “Un tempo c’era un repertorio di canti polivocali che eseguivano i contadini mentre lavoravano alla raccolta di pomodori e olive. Si cantava il duro lavoro, spesso contro il padrone. Il canto era l’unica cosa che il padrone non poteva comprare”. Un esempio di presa in giro del proprietario delle terre cantando? È arrivata la curnacchiola (la cornacchia, il caporale), dice ca è ura”. Antonio Castrignanò, che nell’album Babilonia ha inserito anche un brano sul caporalato, pensa di recuperare questi canti più lenti di pizzica e taranta per muovere le coscienze e scardinare certi luoghi comuni: “Non hanno ritmi travolgenti ma raccontano tanto della nostra storia. Serve uno spettacolo dedicato”.