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Il delitto del taxi: chi ha ucciso Alessandra Vanni? Il mistero di “Siena 22” è un giallo senza colpevoli

Nell'agosto del 1997 l'omicidio di Alessandra Vanni, tassista 29enne ritrovata senza vita - legata e imbavagliata - nel suo taxi: il delitto è ancora senza colpevoli

di Alessandra De Vita

Agosto 1997. C’è un taxi ritrovato in piena notte fermo, di fronte a una piccola discarica abusiva. Lo nota un uomo, andato lì per gettare due materassi. Dentro, c’è il corpo di una donna, è quello di Alessandra Vanni, tassista 29enne. È stata strangolata con la stessa corda da pacchi che la lega al sedile. Sul cruscotto, l’impronta di una scarpa. Nessun segno di lotta sul corpo, sembra quasi non abbia opposto resistenza. Non è l’ultimo romanzo di Stephen King ma la storia di Alessandra Vanni. Manca l’incasso della giornata. Il tassametro è ancora acceso, che segna la cifra che corrisponde al prezzo della corsa da Siena a Castellina. Siena 22, questa la sigla del taxi bianco della cooperativa dei tassisti di Siena, Castellina in Chianti, di fronte a un cumulo di rifiuti. Arriva la Polizia di Siena, poi i Carabinieri della caserma locale. Sembrerebbe una rapina ma allora perché Alessandra è stata legata dopo essere stata strangolata? Un dettaglio questo inquietante, riscontrato dalle perizie. L’assassino è rimasto in auto con il cadavere della ragazza per legarlo.

La vittima
Alessandra Vanni avrebbe compiuto 30 anni nell’agosto di quello stesso anno. Non aveva iniziato come tassista ma come “la ragazza del centralino”, traferiva le telefonate dei clienti ai colleghi della cooperativa per cui lavorava. Una ragazza di provincia, aveva divorziato da poco, con la stessa rapidità con cui si era sposata. Ha iniziato a lavorare non appena maggiorenne per la stessa società per cui lavora anche suo zio come tassista. Aveva preso da poco la licenza per la guida dei taxi. Aveva da poco intrapreso una relazione con Stefano, un tassista come lei. Lei era una delle tre donne della cooperativa di tassisti. Messa da parte l’ipotesi della rapina, restava quella del maniaco ma Alessandra non ha subito violenza. Ai Carabinieri arrivò nei giorni successivi una lettera anonima scritta in latino e la portarono al parroco del paese, don Gino, per tradurla. C’era scritto: “Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?” è un passo tratto dall’Apocalisse. Potrebbe essere stato un mitomane ma quella radura in cui è stata ritrovata Alessandra affaccia su un cimitero da cui tempo prima era stata portata via una croce che nei giorni dell’omicidio venne ritrovata sulla scena del crimine divisa in due parti sull’altare della Chiesa.

I fatti
La sera dell’omicidio, Alessandra va al centralino a fare il suo lavoro, alle 21 lascia il posto di lavoro e mette in funzione il centralino automatico. Va a casa, cena e torna in cooperativa con il taxi dello zio Onorio che intanto è in Ungheria per assistere al Gran Premio di Formula Uno, decide di lavorare al posto suo, la sua occasione per fare pratica. Insieme a lei, in giro, per le contrade senesi c’è anche il suo ragazzo e questo la tranquillizza. Fa delle corse per portare dei paracadutisti dalla stazione alla caserma in piazza d’Armi, poi una famiglia di inglesi. Alle 23,07, arriva una telefonata, l’ultima. Va a prendere due studenti che porta in Piazza Gramsci e alle 23,18 è di nuovo in Piazza Matteotti. Parcheggia il suo taxi e scambia due chiacchiere coi colleghi. Alle 23,23 resta da sola nel parcheggio, dove arriva uno sconosciuto. Il tassametro si azzera e parte per una corsa extraurbana come si rileva dal tassametro: l’unico testimone di questa tragica storia. Imbocca la via Chiantigiana, verso le colline, una strada isolata, con lo sconosciuto a bordo. Qualcuno ha visto il suo taxi passare davanti al bar ben due volte di Quercegrosse, paese lungo la via Chiantigiana. Come se stesse cercando qualcosa o qualcuno. Un uomo dice di averla vista con a bordo due uomini, uno dei quali esce e poi risale al posto del passeggero. Qualcuno la vede entrare in una stradina sterrata. Prosegue in direzione Castellina, Siena 22 scompare nel nulla fino al tragico ritrovamento.

Le indagini
La Procura parte da quella lettera e dalla frase in latino, forse il riferimento è ai nodi complessi che legano la povera ragazza per i polsi al sedile del taxi. Le indagini vengono archiviate due anni dopo, nel 1999, con nulla di fatto. In una puntata del maggio del 2012 della trasmissione “Chi l’ha visto” si delinea una nuova pista. Gli assassini, si pensa, potrebbero essere i membri della banda di sequestratori che in quella stessa estate avevano rapito l’imprenditore Giuseppe Soffiantini e la ragazza potrebbe aver ascoltato cose che non avrebbe dovuto sapere. L’inchiesta viene riaperta nel 2013. Sei persone vengono iscritte nel registro degli indagati dal sostituto procuratore Nicola Marini che fa anche riesumare il corpo di un somalo, tale Stefano Mohamed Nicolino, per fare un riscontro con il suo Dna. Nicolino è un cliente abituale dei tassisti di Siena, è morto nel 2006 ma tutti gli esami, compreso il suo, danno esito negativo. Messaggi e telefonate anonime, appelli, ricerche di medium: l’intera comunità senese per anni è turbata da questo omicidio ma non si giunge a un solo riscontro effettivo rispetto alla morte di Alessandra. Nel novembre del 2020 viene riaperto il caso, procedendo per omicidio aggravato e rapina, dalla procura di Siena guidata da Salvatore Vitiello e dal pm Nicola Marini che, dopo aver iscritto due persone nel registro degli indagati, procede nel verificare gli alibi nel tentativo di risalire a chi possa essere salito quella sera su “Siena 22”. Entrambi sono sottoposti all’esame del Dna ma l’esito è di nuovo negativo. Vengono analizzati di nuovo i tabulati telefonici dell’epoca, con nuove e più sofisticate tecnologie. Dopo due anni, viene chiesta l’archiviazione del caso. Il mistero di “Siena” 22 è rimasto impunito.

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