Nel casinò globale del capitalismo d’azzardo essere poveri è una colpa da espiare, peggio che i nazisti a Norimberga. A questo mi fanno pensare le parole del ministro Nordio, riferite ai drammatici suicidi in carcere a Torino.
La giustizia sociale è come un muro nel quale continuano ad aprirsi falle dalle quali spruzza acqua gelida e sembra che a poco valgano i tentativi affannosi di tappare ora questa, ora quella: il muro stesso è destinato a crollare.
La condizione disumana che si vive nelle carceri italiane e che si ripercuote spesso anche sul personale che di quelle strutture ha la responsabilità è una di queste falle, una delle più odiose. E’ particolarmente odioso e inaccettabile infatti che a soffrire siano le persone affidate alla custodia necessaria dello Stato: che siano i migranti che entrano nel nostro Paese, o i detenuti nelle carceri, quelli in attesa di giudizio e quelli condannati in via definitiva, donne, uomini e minorenni (bisognerebbe guardare ai fatti del carcere di Torino, senza dimenticare quanto successo soltanto pochi mesi fa nel minorile Ferrante Aporti, con le dimissioni della direttrice, esasperata dalle condizioni di lavoro), oppure quelli tenuti nelle REMS (dove esistono) che hanno sostituito i manicomi giudiziari, troppe storie parlano di una umanità di scarto, che contraddice i valori della nostra Costituzione.
Quella delle carceri è una falla che assomiglia appunto ad altre: la cancellazione del Reddito di Cittadinanza, l’ostilità del Governo verso il salario minimo, lo sfruttamento bracciantile nelle campagne (e non soltanto) del quale si sottovaluta colpevolmente e pericolosamente il carattere criminale, i tagli nella destinazione dei fondi del Pnrr, il collasso della sanità pubblica – che fa rima con lo stato della pubblica istruzione e con la qualità dell’edilizia scolastica: l’elenco è senza fine.
Lo sconforto provocato dalla demolizione sistematica della giustizia sociale è, se possibile, aumentato dalla guerra senza fine, che sembra l’unica grammatica dei rapporti di forza, con tanti saluti alla libertà e al futuro della Terra (ma tanto “Stiamo per tornare sulla Luna per restarci”!). Il rischio di arrendersi o di imboccare disastrose scorciatoie è forte, che fare?
Come in una storica pubblicità dei rubinetti Zucchetti, che la tv passava nel 1986, non bisogna smettere di occuparsi delle “falle”, opponendosi ognuno dove può e come può alla demolizione del muro: non è una rivoluzione, ma un modo ragionevole per prendere tempo.
Ora, tornando alla questione carceri, c’è almeno una partita aperta dal Governo il cui esito potrebbe non essere scontato: la nomina del nuovo Garante nazionale per i detenuti e le persone private della libertà personale. L’attuale direzione, composta da Mauro Palma, Daniela de Robet ed Emilia Rossi, la prima e unica da quando l’Istituto è stato inventato per legge (su indicazione delle Nazioni Unite) durante la XVII Legislatura, dopo aver svolto in maniera più che apprezzata il proprio mandato, sta operando in regime di proroga e al governo spetta la proposta dei nuovi nomi. Proposta che in verità è già arrivata nelle settimane scorse e che ha lasciato sconcertati: profili professionali molto distanti da ciò che servirebbe in termini di competenze e di sensibilità.
Certo è che questa destra ha già dimostrato di non risentire dello sconcerto di chi a buon diritto si sente offeso dalle scelte che fa: lo schiaffo tirato ai famigliari delle vittime delle stragi con la elezione di Chiara Colosimo alla presidenza della Commissione Antimafia ancora brucia. Per questo è prevedibile che pure sulla nomina del Garante la destra tiri dritto e che magari pure qualche pezzo di opposizione, incassata una compensazione, sia tentata dal non mettersi di traverso, visto che l’iter che porta all’approvazione delle nomine prevede un passaggio necessario nelle Commissioni parlamentari competenti, che prelude alla valutazione e alla definitiva formalizzazione da parte del Presidente della Repubblica.
Sarebbe invece auspicabile che le opposizioni facessero di tutto per opporsi a questa nomina e per rimetterla in discussione a partire da criteri condivisi. Il Garante non è la bacchetta magica: per le carceri serve una politica complessiva dai tetti alle fondamenta, ma qua stiamo a “tappare falle” e sicuramente il lavoro del Garante, con le sue articolazioni territoriali, ha già ampiamente dimostrato di servire egregiamente allo scopo.
Sarebbero auspicabili altre due scelte da parte delle opposizioni a questo Governo: il massimo coinvolgimento dell’associazionismo, che si occupa meritoriamente del mondo carcerario, e l’individuazione di figure credibili nelle rispettive direzioni nazionali delegate esplicitamente a presidiare questo baluardo di giustizia sociale, con l’altrettanto esplicito mandato a parlarsi. Perché, dopo tutto, l’unione fa ancora la forza.