La Corea del Nord aveva rotto il silenzio lo scorso 3 agosto, confermando di voler mantenere in custodia Travis King, il soldato statunitense arrestato per aver oltrepassato il confine lo scorso 18 luglio durante una visita guidata. Da allora, però, non più una parola: Pyongyang non aveva diramato nessuna ulteriore informazione, né sulle ragioni della disertazione del soldato, né tanto meno sul suo stato di salute.

Oggi però, all’indomani delle nuove – ennesime – minacce del regime rispetto a una guerra nucleare, l’agenzia di stampa statale di Pyongyang Kcna – che è l’organo di propaganda che riflette la linea ufficiale di Kim Jong-un – si esprime nel primo commento pubblico sul caso di King che, scrive, “ha confessato di aver deciso di trasferirsi in Corea del Nord poiché nutriva rancore contro i maltrattamenti disumani e la discriminazione razziale all’interno dell’esercito degli Stati Uniti”, aggiungendo che il militare è sotto indagine. King, continua l’agenzia, “ha anche espresso la sua disponibilità a cercare rifugio nella Corea del Nord”, dove ha ammesso di essere entrato illegalmente, “o in un paese terzo, dicendo di essere deluso dalla società americana ineguale”. Dal 24 luglio il comando Onu, sovrintendente della tregua alla guerra di Corea, sta trattando con rappresentanti della Corea del Nord per il rientro a casa del soldato.

King è il primo statunitense di cui sia stata confermata la detenzione in Nord Corea in circa 5 anni. La famiglia del soldato ha fatto sapere che la madre, Claudine Gates, ha chiesto alle autorità di Pyongyang che suo figlio venga trattato “in modo umano”. “È una mamma preoccupata per suo figlio e sarebbe grata di ricevere una sua telefonata“, ha dichiarato il portavoce della famiglia Jonathan Franks. “Si è messa in contatto con l’esercito questa sera e apprezza la dichiarazione (del Dipartimento della Difesa) che rimane concentrata sul riportare Travis a casa”, ha aggiunto la famiglia.

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