Un parlamento saldamente in mano ai conservatori ha approvato la sua legge delega per riformare il fisco. Non è la prima volta che questo si verifica e siamo giunti al terzo tentativo in venti anni.
Una prima legge del centro-destra contenente una corposa delega fiscale, ministro proponente il prof. Tremonti, è stata approvata già nel lontano 2003. Poi c’è stato anche un secondo tentativo, siamo nel 2011 e quindi all’epoca del Governo Berlusconi IV, ma il progetto non è arrivato in Parlamento per le sue burrascose dimissioni a novembre. Ora il centro-destra, nel frattempo diventato destra-centro, ci riprova e si è dato un tempo di 24 mesi per riordinare il nostro sistema fiscale.
Questa terza delega fiscale della vecchia Casa delle Libertà ricalca le promesse mai attuate di quelle precedenti, cioè è una minestrina riscaldata, o contiene qualcosa di nuovo? Al di là di alcuni aspetti particolari che vanno nel senso della continuità, direi che siamo di fronte ad un radicale cambiamento di prospettiva.
Ad una prima lettura c’è un aspetto centrale che sembra distinguere in maniera netta la nuova proposta dei conservatori da quelle precedenti, ma bisogna arrivare fino alla fine del testo. L’art. 20, l’ultimo, dispone che dall’attuazione dei nuovi provvedimenti “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica né incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall’applicazione della legislazione vigente”. Una norma di chiusura di questo tipo è ormai consuetudine nei testi legislativi, ma qui assume un rilievo particolare.
Nelle precedenti leggi delega fiscali del centro-destra il piatto forte, al contrario, era rappresentato proprio dalla riduzione delle tasse. Anzi questo era l’obiettivo prioritario da raggiungere con la grande riforma fiscale, obiettivo al quale ora la compagine conservatrice sembra ora aver del tutto rinunciato. Per esempio, nella riforma Tremonti del 2003 la proposta di riduzione delle tasse per i cittadini era clamorosa e passava per la riduzione delle aliquote Irpef a due soli scaglioni. La riforma Tremonti su questo punto, come su altri, fu un clamoroso flop e non venne mai attuata.
La proposta del Governo Berlusconi IV della fine estate 2011 si muoveva ancora sulla stessa linea ma con più prudenza. Le aliquote venivano ridotte da cinque a tre e il taglio delle tasse era finanziato totalmente con la riduzione delle agevolazioni fiscali.
Ora la destra riprova a mettere mano al fisco con maggior realismo, eliminando ogni riferimento alla promessa di una riduzione delle tasse, il tradizionale e vincente cavallo di battaglia, puntando semplicemente a non aumentarle. Una svolta epocale che calpesta però ogni promessa elettorale sulle tasse fatta fin dal lontano 2003, anche solo qualche mese fa.
Se la riforma dovrà produrre un risultato di invarianza fiscale, come espressamente previsto, come potranno essere finanziati i vari provvedimenti di riduzione delle singole imposte contenute nella legge-delega? La domanda è intrigante e ineludibile.
Qui si intravedono di massima due soluzioni. La prima è quella, ampiamente sperimentata già nella finanziaria del 2023, del gioco a somma zero fra contribuenti. I provvedimenti fiscali favorevoli per alcune categorie verranno finanziati semplicemente sottraendo risorse ad altre, in una specie di guerra fiscale permanente. Questo è il caso, per esempio, dello sconticino promesso sull’Irpef che verrebbe finanziato tagliando le deduzioni e detrazioni della stessa imposta. Qualcuno ci guadagnerà e qualcun altro conseguentemente pagherà dazio alla nuova ideologia fiscale.
Oppure, in versione più generale, si potrebbe aumentare l’Iva come suggerito di recente in un studio dagli esperti fiscali, con una mossa curiosa che ci riporterebbe ad un fisco reale, cioè che punta a tassare lo scambio sui beni, di tipo ottocentesco. Tra l’altro, questa è stata la strada fin qui seguita. Nel 1973 l’Iva nasceva con una aliquota ordinaria del 12%, arrivata ora al 22%. E molte altre soluzioni intermedie ma sempre caratterizzate dalla neutralità fiscale possono essere inventate dall’ingegneria fiscale e finanziaria.
Avremo un cinico fisco prêt-à-porter per categorie privilegiate di contribuenti politicamente influenti, a scapito di altre meno interessanti sul piano politico-elettorale. Un fisco sempre più diseguale per scelta politica, e quindi sempre più iniquo.
C’è una seconda strada, naturalmente, stavolta tutta italiana e cioè quella di svuotare il pozzo dell’evasione fiscale che da solo vale 90 miliardi, quindi un decimo del gettito totale. Paradossalmente, un’evasione così estesa ma limitata a poche e ben riconoscibili categorie di contribuenti offre l’opportunità di recuperare risorse semplicemente in nome di una maggior efficienza ed equità.
La delega fiscale di Giorgetti tocca anche questo punto e lascia intravvedere il tradizionale atteggiamento paternalistico della destra che si propone di recuperare le risorse sottratte facendo appello alla buona volontà degli evasori. Se questa cattolicissima remissione dei peccati fiscali nei confronti dei cittadini fraudolenti funzionerà, staremo a vedere.
Qui interessa osservare che anche a destra si è arrivati al principio caro ai progressisti che per ridurre le tasse per tutti occorre colpire in primo luogo chi non le paga. Pagare tutti per pagare meno, insomma. Senza un efficace contrasto all’evasione, anche per la destra-centro ormai, la riduzione delle tasse, promessa da molte decadi ma mai attuata, difficilmente si potrà fare.
Riuscirà il ministro Giorgetti nel suo intento di fare una riforma che renda il nostro sistema più semplice ed equo a costo zero? Le intenzioni sembrano serie. Qui ci viene ancora in aiuto l’art. 20 che al secondo comma predispone, per così dire, delle ferree ganasce fiscali agli appetiti dei politici, a partire sicuramente da quelli del segretario del suo partito. Il testo prevede che ogni decreto fiscale, prima della sua approvazione, debba essere accompagnato da una dettagliata relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti sui saldi di finanza pubblica, e in caso di riduzione del prelievo indichi espressamente come farvi fronte.
Si prevede molto lavoro per i tecnici di bilancio delle Camere e per l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Certo che affermare che le tasse sono un pizzo di Stato secondo l’ideologia sfascista della premier Meloni non aiuta. Aiuta invece il pragmatismo contabile del ministro Giorgetti, a questo punto capitano coraggioso in acque molto tempestose.