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33 anni fa il delitto irrisolto del “Velo della Madonna”, Maria Luisa De Cia trovata mezza nuda e legata nei boschi delle Dolomiti: conosceva l’assassino

Dopo 17 anni, nel 2010 viene riaperta l’inchiesta. Nel gennaio del 2011, la Squadra Mobile di Trento identifica un sospettato: un imprenditore 60enne, che possiede una baita a due chilometri dal sentiero in cui venne ritrovata la ragazza. Poi, però, l'inchiesta viene nuovamente archiviata e l’omicidio di Maria Luisa Cia resta ad oggi irrisolto

È il giorno dopo ferragosto del ’90 ed è ancora mattino. “Sono andata verso San Martino”: c’è scritto così sul biglietto che Maria Luisa De Cia ha lasciato ai suoi genitori, prima di andare a fare una passeggiata in montagna. Il sentiero è quello che porta alla parete montuosa del “Velo della Madonna”, a oltre duemila metri di altezza. Siamo a Sovramonte, in provincia di Belluno, Maria Luisa ci è arrivata il 3 agosto per trascorrere i suoi giorni di vacanza insieme alla famiglia, prima di sposarsi. Maria Luisa sale a bordo della Panda Rossa e scompare tra i sentieri delle montagne venete dove forse vorrà inerpicarsi per una delle sue escursioni. Ma intanto si fa sera e la ragazza non rientra. È una giovane donna assennata, non ci sarebbe da agitarsi inutilmente ma quando è ormai notte, scatta l’allarme. Il padre inizia a cercarla il mattino seguente, arriva al sentiero 713 dove trova l’auto della figlia, è chiusa a chiave e parcheggiata. Si organizza una squadra per battere tutto il territorio.

Il delitto
Venerdì 17 agosto. Al mattino, un gruppo di escursionisti si imbatte nel corpo della povera Maria Luisa nel bosco a pochi passi dalla località nota come Velo della Madonna. La scena è raccapricciante: la ragazza è distesa, senza vita, su un giaciglio fatto con i suoi stessi abiti, in uno spiazzo circondato da alberi. Dalla vita in giù è nuda, indossa solo i calzini e le gambe sono divaricate. Ha un filo di nastro adesivo nero che le gira intorno alla testa, le attraversa bocca, spalancata. Una posizione anomala, quasi sembra un messaggio. Sulla tempia sinistra c’è un foro di un proiettile da cui si può capire cosa le sia accaduto. È stata uccisa con un’arma caricata a pallettoni modificata. Sul corpo non ci sono segni di violenza sessuale ma altre lesioni che potrebbero far pensare a delle sevizie. Una clavicola è slogata ed è evidente che la ragazza è stata legata ai polsi e alle caviglie anche se manca la corda. I suoi occhiali sono perfettamente riposti ai piedi di un albero, insieme agli scarponcini da montagna. Si diffonde la voce che sia stata ammazzata da un maniaco, il serial killer dei boschi, il mostro delle Dolomiti. Un crimine brutale e inspiegabile tra le cime delle Dolomiti.

La vittima
Maria Luisa ha 28 anni e vive da sola a Cornuda, in provincia di Treviso. Lavora come ragioniera ed è fidanzata con Mauro, un brillante procuratore legale. Reduce da storie sbagliate e finite male, finalmente ha fatto l’incontro del destino con Mauro che vuol presentare alla famiglia. È una ragazza socievole, indipendente, tranquilla, ha vissuto da sola per un anno, in Germania. È andata via da Sovramonte l’anno precedente, dopo una relazione finita male. A Cornuda ha incontrato Mauro con cui sembra procedere bene.

Le indagini
Le indagini non sono affatto facili per il procuratore di Trento Giovanni Kessler. Si accerta subito che non si tratta di un balordo ma che l’omicidio è stato premeditato e non tragica conseguenza di una brutale aggressione. I carabinieri iniziano a ricostruire gli ultimi giorni di vita di Maria Luisa. Inizia a farsi spazio l’ipotesi che sia andata consapevolmente all’appuntamento con il suo assassino, senza immaginare il tragico epilogo. Poche ore prima, infatti, Maria Luisa aveva ricevuto una strana chiamata sul telefono di casa, a cui aveva risposto, alla presenza di suo padre: “Possiamo anche vederci”. Gli ultimi giorni sono frenetici, Maria Luisa non dorme mai per due notti di seguito nello stesso posto ma si divide tra casa dei suoi, quella del fratello e i rifugi in montagna. Il giorno di ferragosto, prima dell’omicidio, esce due volte per andare in gelateria, nel mentre riceve una lunga telefonata dal fidanzato a cui confida di avere seri problemi di cui però non vuole parlargli. Prima di andare la seconda volta in gelateria, riceve una seconda telefonata. Dall’altra parte non c’è il fidanzato ma qualcuno a cui dice quella frase. Chi? Siamo nel 1990, non è ancora possibile recuperare i tabulati delle telefonate. La vita della ragazza di provincia viene setacciata ma tutti i possibili indiziati hanno un alibi.

I testimoni
Una donna dichiara di aver visto un’auto ferma sul bordo della strada, la mattina del 16 Agosto alle 9:30 di mattina, a circa 30 chilometri dal luogo del delitto. A bordo c’era un uomo sui 35 anni, dal volto allungato e con un ciuffo di capelli sull’occhio sinistro. L’uomo sarebbe rimasto fermo come ad attendere qualcuno fino all’arrivo di una Panda rossa con a bordo una ragazza. Dopo una breve conversazione i due sarebbero ripartiti insieme ma ognuno con la propria auto. Anche un taxista dichiara di aver visto la stessa mattina le due auto mentre procedevano a passo lento una dietro l’altra sulla Statale 50. Il testimone li supera e mentre sorpassa nota che all’interno della Panda c’è una donna. La Polizia diffonde un identikit dell’uomo. Tre ragazzi dichiarano di aver sentito il rumore di uno sparo e di aver visto, subito dopo, tre persone correre per entrare in una 127 bordeaux da cui sarebbero poi schizzati via. Una coppia dice di aver sentito due grida: il primo lungo, l’altro strozzato. Non emerge nulla di rilevante dalle indagini e nel 1993 viene tutto archiviato. Ciò che è successo a Maria Luisa Cia sembra davvero non avere nessuna spiegazione. In Procura tuttavia sono convinti che l’omicidio della ragazza sia stato premeditato, a scopo sessuale e compiuto da un uomo che la conosceva e che probabilmente era geloso della sua relazione. Pensano sia di certo quest’uomo si annidi tra la sua cerchia di conoscenze. Lo dimostra che il fatto che lei si sia comportata come se avesse un appuntamento.

La svolta
Dopo 17 anni, nel 2010 viene riaperta l’inchiesta. Nel gennaio del 2011, la Squadra Mobile di Trento identifica un sospettato: un imprenditore 60enne, che possiede una baita a due chilometri dal sentiero in cui venne ritrovata la ragazza. Conosce Maria Luisa e somiglia all’uomo dell’identikit realizzato negli anni ’90. Si tratta di un cacciatore esperto, quindi capace di costruire armi artigianali come il Revolver da cui è esploso il colpo che ha steso Maria Luisa. Il caso sembra sia arrivato a una svolta ma quando l’uomo viene sottoposto al test del Dna il suo profilo genetico, confrontato con ciò che resta dei reperti della scena del crimine, dà esito negativo. L’inchiesta viene nuovamente archiviata e l’omicidio di Maria Luisa Cia resta ad oggi irrisolto.