Vi proponiamo un breve estratto dell’articolo di Gabriele Guzzi sull’ultimo numero del cartaceo de La Fionda. Il titolo del testo originale è: Fine dell’Europa? Crisi dell’Euro e nuovi inizi. Gabriele Guzzi è un economista e presidente del movimento l’Indispensabile.

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La guerra che stiamo attraversando in questi mesi si sta configurando non solo come una guerra dentro l’Europa ma una guerra contro l’Europa. Una guerra contro l’Europa e contro il suo paese egemone: la Germania. Quest’ultima è ancora imprigionata nel suo passato, che l’ha portata a rinunciare a tutte le sue ideologie se non a quella contabile di Maastricht. Una sorta di economicismo ragionieristico: questa è l’unica fede politica ancora tollerata in Germania e in Unione europea. Ed è questa la prima causa taciuta della decadenza geopolitica del continente negli ultimi anni: c’è un filo rosso evidente tra il Trattato di Maastricht – e quindi la scelta costituente dell’Unione europea – e la guerra in Ucraina.

[…] L’Unione europea, infatti, è la risposta del vecchio continente alla globalizzazione liberista. Ed è una risposta di minuziosa ortodossia. Nessun’area del mondo introiettò maggiormente nel proprio ordinamento i dettami di libera circolazione di merci, persone e capitali; consolidamento fiscale del bilancio pubblico; liberalizzazione dei mercati; privatizzazione delle aziende di Stato; apertura al commercio globale; indipendenza della banca centrale. Nessuno fece del cosiddetto Washington Consensus un cardine così centrale del proprio ordinamento, che in Europa fu assunto addirittura come principio costituente. Luciano Canfora afferma giustamente che “l’europeismo brandito con retorica e fastidiosa insistenza non è che la figurazione romantica di una realtà intrinsecamente e prosaicamente iperliberista.”

Proprio nel tempo in cui questa ideologia mostra tutte le sue fallacie, quest’area del mondo si trova impreparata, balbettante e, soprattutto, lentissima a cambiare direzione. Fino a quando non comprenderemo la radicalità della crisi di questo modello, le classi dirigenti europee non potranno che spargere fumo negli occhi dei popoli, provando a sopravvivere nella finta alternanza di una non-destra e di una non-sinistra, varianti della stessa epidemia: il capitalismo ordoliberale europeo. Essa è appunto l’unica ideologia rimasta […]. In questo sistema, a discapito di una formalità democratica, si assiste al predominio di quelli che Amintore Fanfani chiamava “pochi strapotenti manovratori della cosa pubblica”. Wolfgang Schäuble sostenne esplicitamente che “le elezioni non cambiano nulla. Ci sono le regole”. In questa teologia delle regole – oramai smentite dalla storia e dai dati – senza una prospettiva e una visione, abbiamo lasciato la guida del continente agli esperti di Excel. Ed è questa la causa originaria del balbettio europeo nella crisi ucraina.

[…] La costruzione europea, infatti, ha indebolito la forza geopolitica del continente, rallentato la crescita economica, reso più fragili le nostre società, privato i sistemi produttivi di interi settori strategici, indebolito il potere contrattuale dei lavoratori, aumentato le disuguaglianze, infiacchito la vita democratica dei paesi. Come sostiene Adam Tooze: “l’eurozona ha sprofondato milioni di persone in una depressione stile anni ’30. Si è trattato di uno dei maggiori disastri autoinflitti della storia”. […] Il fallimento dell’Euro è cioè il fallimento della risposta che le classi dirigenti diedero alla crisi identitaria che già stavano attraversando trent’anni fa. Questa crisi non solo non si è risolta ma si è accentuata, e riemerge come da un inconscio collettivo da quando la guerra è scoppiata ai confini del nostro continente. […]

Bloccare leve di aggiustamento delle economie (tassi di cambio e tassi d’interesse), vincolare la politica fiscale a insensati criteri di austerità, porre gli ordinamenti giuridici in concorrenza tra loro, sottrarre il potere monetario da qualunque forma di vincolo politico (anche indiretto, come in altre parti del mondo), sono tutte le cause che pongono oggi l’Unione europea in una condizione di estrema debolezza e balbettio geopolitico. È questo ciò che la crisi ucraina mette in luce.

È il fallimento dell’Euro come risposta europea alla crisi d’identità che stavamo vivendo già trent’anni fa, dinanzi alla fine difficile e all’elaborazione ancora più difficile del XX secolo. Ma proprio perché l’Euro ha rappresentato una risposta religiosa sarà molto difficile abbandonarlo. Ci sarà una resistenza psicologica di chi non si vuole separare da ciò che ha dato senso e significato alla propria vita (e spesso alla propria carriera) per decenni. Non sarà facile abbandonare quelle risposte che ci si è dati per continuare a sopravvivere, anche se oramai da anni la realtà continua a sconfessarle: crisi dopo crisi, queste classi dirigenti faticano a riconoscere la verità, a dire “il re è nudo”, a intraprendere una strada di reale conversione politica. Ma il tempo si è fatto breve.

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