Il tribunale del Riesame di Palermo ha confermato il carcere per Angelo Flores e Gabriele Di Trapani, due dei sette ragazzi arrestati con l’accusa di aver violentato, la notte tra il sei e il sette luglio, una giovane di 19 anni di Palermo in un cantiere abbandonato nella zona del Foro Italico. I giudici, che hanno accolto la tesi della Procura diretta da Maurizio de Lucia, non hanno ancora depositato le motivazioni della decisione. Il tribunale, inoltre, deve ancora pronunciarsi sulla istanza di scarcerazione presentata dai legali di Cristian Barone, un altro degli indagati. Sabato, davanti al gip del Tribunale dei Minori, era arrivata la prima confessione da parte di uno degli indagati, diventato maggiorenne qualche giorno dopo la violenza. La gip Alessandra Puglisi ha scarcerato il ragazzo disponendo il trasferimento in comunità, decisione contro la quale la Procuratrice dei minori Claudia Caramanna ha fatto ricorso chiedendo che il ragazzo torni in cella. Il neo 18enne, che inizialmente non era stato identificato, è stato inchiodato da un video dello stupro girato da un altro indagato e rinvenuto sul cellulare nel corso delle indagini.
Ed è proprio sul ritrovamento dei cellulari che gli inquirenti si stanno al momento concentrando. Due degli indagati, Samuele La Grassa ed Elio Arnao, sono stati intercettati mentre in caserma affermavano la necessità di nascondere i telefoni, uno dei quali sembrerebbe essere stato sistemato in un punto sotto terra. “Poi me lo scrivi su WhatsApp dove lo hai messo”, si rivolgeva La Grassa ad Arnao, che rispondeva: “Cosa, il telefono? Neanche in una pianta è… era in un magazzino pure in un punto sotto terra. Lo sappiamo soltanto io e Francesco. Te l’ho detto, devi sempre avere qualcosa nascosta”. La madre di uno degli indagati, intercettata, condivideva la decisione di tener nascosti i telefoni. La stessa donna consigliava di descrivere agli inquirenti la ragazza come una “poco di buono”, ritenendolo “utile per la loro posizione”, scrive la Procura.
Tra le prove contro i giovani ci sono i filmati delle telecamere di sorveglianza e le chat Whatsapp in cui si scambiano commenti sulla volontà di vendicarsi contro la vittima dopo che quest’ultima aveva sporto denuncia. “Ti giuro stasera mi giro tutta la via Libertà e mi porto la denuncia nella borsetta…gli dico guarda che cosa mi hai fatto e poi gli do una testata nel naso”, scriveva uno dei giovani. Dopo la diffusione dei nomi, anche le foto dei sette indagati sono iniziate a circolare sui social divenendo bersaglio di insulti e minacce. Come riporta Il Messaggero, le minacce si rivolgono anche alle famiglie, che ora iniziano a temere spedizioni punitive, mentre sul web e tra i commenti è già partita la corsa per rendere pubblici gli indirizzi.