Mai, come in occasione dell’alluvione emiliano-romagnola, la memoria storica è stata tradita. Ormai so, perché studiato a lungo, che l’oblio è una costante del comportamento umano dopo le catastrofi, naturali e non. La memoria collettiva potrebbe svolgere un ruolo cardine nell’adattamento ai potenziali rischi alluvionali: imparando dai disastri del passato e del presente, l’umanità può affrontare in modo consapevole quelli futuri.
Purtroppo, la distanza psicologica delle comunità e degli individui è enorme. E cresce rapidamente con il passare del tempo, come dimostrano gli esiti della pandemia Spagnola, di molti terremoti, delle alluvioni italiane dall’unità ai nostri giorni.
Pubblico qui alcune riflessioni sul post-alluvione. E le posto in agosto per la tranquillità della pausa estiva: nessuno dei possibili decisori leggerà queste poche righe. Tanto meno le prenderà in considerazione. Possono apparire banalità assolute, ma nella bassa pianura in sponda destra padana la banalità può diminuire in modo consistente il danno economico e l’impatto sociale di eventi che sono destinati a ripetersi.
Nel territorio compreso tra Modena, Bologna, Ferrara e Ravenna leggiamo un manuale d’ingegneria idraulica: tutte le reti fluviali, dai rivi minori ai principali fiumi, sono ormai artificiali. Un disegno idraulico complesso e articolato di un territorio che fa parte della più vasta pianura padana, altrettanto antropizzata. Una terra frutto delle alluvioni millenarie del grande fiume e degli affluenti alpini e appenninici attraverso la loro erratica traiettoria, le esondazioni, i processi di erosione e sedimentazione, la deriva planimetrica del letto fluviale, l’evoluzione del profilo verticale.
Alla luce della catastrofe del 2023, la riflessione sul passato — siano i processi naturali, sia la evoluzione delle infrastrutture idrauliche nel corso dei secoli — suggerisce alcune misure e ne sconsiglia altre. Sono applicabili misure all’apparenza semplici, ma non troppo semplici. E, senza una conoscenza dettagliata del territorio, inapplicabili. Di quelle sconsigliabili, ne parlerò in futuro, se del caso.
La prima misura è la pianificazione consapevole, in grado di programmare soluzioni rurali intelligenti. Per tutto il Novecento la bonifica integrale ha teso a drenare il più rapidamente possibile le acque dai terreni agrari, convogliandole nei corpi idrici ricettori. Lo stoccaggio delle acque in zone agricole a monte dei centri abitati e delle infrastrutture sensibili offre però una opportunità non trascurabile per diminuire la pericolosità idraulica.
Il sacrificio di particolari terreni agricoli, inquadrato magari nella usuale rotazione colturale, potrebbe diminuire l’impatto alluvionale, inondando deliberatamente aree agricole per laminare le onde di piena. A tal fine, la collaborazione dei contadini e dei proprietari terrieri è un fattore chiave, assieme al disegno puntuale delle opere idrauliche, anche minori, indispensabili a convogliare le acque in modo programmato e giocoforza flessibile.
La seconda misura riguarda la diffusione del flood proofing, infrastrutture permanenti o temporanee essenziali nel ridurre la vulnerabilità e costruire ambienti urbani e rurali resilienti. Poiché sono misure in grado di assicurare difese efficaci a diversa scale spaziale, è necessaria una pianificazione a livello distrettale (v. Figura 1) assieme a un disegno puntuale.
Sono applicabili a livello del quartiere o di azienda, al singolo edificio o alle infrastrutture più vulnerabili (v. Figura 2). E possono essere adottate, con studi appropriati, anche alla difesa selettiva delle campagne.
Queste misure di mitigazione devono comunque superare l’orizzonte locale per non trasferire quote di rischio, innescando o cronicizzando le controversie (v. Video: Flood proofing conflicts in Tuscany).
La terza misura riguarda la copertura assicurativa dei danni. Come parecchi interventi su questo giornale hanno sottolineato, anche di recente, è una questione complessa e in rapida evoluzione. Merita un post dedicato. E la declinazione di queste tre misure nella pratica gestionale e progettuale va condotta in modo coordinato e integrato. L’estensione e le proporzioni della catastrofe emiliano romagnola sono state enormi, paragonabili a quella tedesca e belga del luglio 2021 anche come vastità del territorio colpito. La Germania pianse 196 vittime, il Belgio 46. E il danno venne valutato in più di 10 miliardi di euro, due e mezzo relativi a beni assicurati. Un conto della spesa simile a quello dell’Emilia Romagna dove, però, piangiamo 15 vittime.
L’ultracentenaria abitudine della gente italiana a confrontarsi con il rischio alluvionale, una Protezione Civile efficiente e preparata, un sistema di allerta attento ed efficace hanno scongiurato una strage maggiore. Oggi lo sforzo va indirizzato a diminuire il peso della cambiale idrogeologica, un onere comunque ineluttabile del paese che fu ribattezzato come “sfasciume pendulo sul mare” da Giustino Fortunato più di un secolo fa.