È uno dei cavalli di battaglia del suo partito dal 2018, ma Matteo Salvini non la nomina più da almeno due mesi. Come nel caso degli sbarchi, quando le cose vanno male conviene tacere. E il leader della Lega sa che Quota 41, cioè l’opzione di lasciare il lavoro appena raggiunti i 41 anni di contributi, sarà tra le prime vittime del bagno di realtà imposto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in vista della manovra. Non è un caso, allora, se Salvini ormai parla delle pensioni solo per dire che vanno alzate: “Penso che l’aumento di stipendi e pensioni con il taglio del cuneo fiscale confermato per tutto il 2024 sia la priorità”, ha ribadito martedì. Mentre lo “stop alla Fornero” evocato per anni e definito solo lo scorso novembre “una promessa che, costi quel che costi, porteremo fino in fondo” ora diventa un miraggio rinviato (come la flat tax per tutti) alla fine della legislatura. La storia insegna che di solito un’orizzonte temporale del genere equivale a dire che la riforma in questione non si farà mai.

Nella prossima legge di Bilancio “non si potrà fare tutto”, ha avvertito lunedì dal palco del Meeting di Rimini il titolare del Tesoro nonché vicesegretario generale del Carroccio. Aggiungendo – dito nella piaga – che “non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo con la natalità che vediamo oggi in questo Paese”. Morale: scordatevi Quota 41 per tutti, che secondo l’Inps costerebbe 4,3 miliardi il primo anno e quasi 75 in un decennio. Che fare allora per salvare la faccia? Altre misure una tantum, eccezioni alla regola scritta nel 2012 in base alla quale il pensionamento di vecchiaia scatta a 67 anni con almeno 20 di contributi e quello anticipato a 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) senza limiti di età.

In queste ore circolano veline stando alle quali Quota 41 potrebbe essere garantita solo per un anno e solo in cambio del calcolo contributivo di tutto l’assegno. Non proprio un’offerta impossibile da rifiutare: rispetto al sistema misto ora in vigore, in cui l’assegno viene calcolato in parte con il metodo retributivo per chi a fine 1995 aveva già 18 anni di contributi, significa una penalizzazione del 10-15%. Su una cifra che peraltro verrebbe versata solo dopo alcuni mesi, come già avviene per i “precoci” – chi a 19 aveva già maturato i primi 12 mesi di contributi – che ricevono la prima pensione tre mesi dopo aver raggiunto il requisito dei 41 anni.

Insomma: sarebbe un buon viatico per un flop conclamato come quello di quota 100, che ha registrato un numero di domande ampiamente sotto le attese. Meno di metà rispetto alle previsioni di Salvini, secondo cui avrebbe mandato in pensione “un milione di persone”. Nonostante questo, il costo dell’anticipo potrebbe sfiorare i 4 miliardi per andare incontro a meno di 200mila aspiranti prepensionati.

L’ipotesi più praticabile sembra, al momento, la proroga anche per il 2024 di Quota 103, l’uscita con 41 anni di contributi versati ma solo se si sono raggiunti i 62 anni di età. Una misura con soli 41mila potenziali beneficiari quest’anno, stando alle stime fatte dallo stesso governo nella relazione tecnica alla legge di Bilancio per il 2023 che l’ha introdotta solo per il 2023. Visto che chi raggiunge i requisiti entro il 31 dicembre mantiene il diritto ad andare in pensione anche nel 2024 e 2025, la platea potrebbe allargarsi a un totale di 74mila persone. Per un costo complessivo che arriverebbe comunque a 2 miliardi. Una cifra non indifferente in tempi di risorse scarse e con la sanità che reclama almeno 4 miliardi per fermare l’emorragia di personale aumentando gli incentivi destinati a medici e infermieri.

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