Una settimana al mese, soprattutto d’inverno, la passa a Cortina d’Ampezzo. Così, organizzandosi i turni come preferisce, nel tempo libero può andare a sciare. Lavorando lì, d’altronde, ha pure lo sconto sullo skipass. Il tutto, guadagnando più di 150mila euro lordi l’anno, più di un primario. È la vita di Giovanni Sella, 46enne medico che, sulle pagine di La Repubblica, racconta come abbia scelto di cambiare vita: da lavoratore del Sistema sanitario nazionale a gettonista. Si tratta di medici libero professionisti che, appoggiandosi a cooperative o società private, stipulano contratti con il Ssn, in crisi di organico. Si crea così il cortocircuito: la carenza di personale medico nella sanità pubblica costringe gli ospedali ad assumere professionisti privati che oltre a costare di più, non garantiscono continuità assistenziale. I soldi della sanità pubblica escono dal sistema ed entrano nelle casse dei privati, abbassando gli standard di cure. Le condizioni, sia economiche che di qualità della vita, per chi sceglie di fare il gettonista sono troppo più vantaggiose: si lavora di meno, non si sottostà ai ritmi di lavoro faticosi dei reparti e si guadagna di più. Per questo sempre più professionisti scelgono di lasciare il pubblico per il privato, riducendo ulteriormente il numero di medici a disposizione nel Ssn.
Con l’approvazione del Decreto Bollette, convertito in legge a fine maggio, il governo ha cercato di mettere un freno ai gettonisti, ma il provvedimento è stato preso con scetticismo dagli addetti ai lavori. Lo stesso Sella non pensa che le leggi saranno in grado di bloccare il fenomeno: “Non credo che accadrà. Per quello che vedo, i pronto soccorso campano grazie a noi. Io approfitto di un sistema che paga poco i dipendenti e tanto quelli come me. Comunque, se finisce tutto posso sempre rientrare in azienda”. La visione di Sella è condivisa anche da chi ha fatto una scelta opposta da quella del gettonista 46enne, da chi rimane nella sanità pubblica, confrontandosi quotidianamente con le difficoltà dei pronto soccorso.
Fabio De Iaco, presidente nazionale della Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza (Simeu), commentando a ilfattoquotidiano.it il Decreto Bollette, ha sottolineato la mancanza di alternative ai medici delle cooperative private: nonostante gli alti costi delle esternalizzazioni, le aziende sanitarie sono costrette ad appoggiarsi a enti terzi privati, per garantire turni che altrimenti rimarrebbero scoperti. In molte regioni, il Ssn non è in grado di stare in piedi senza i gettonisti, interi reparti resterebbero deserti. Vengono chiamati quando non ci sono altre risorse disponibili. Quando le altre possibilità sono state tutte vagliate, senza successo. In molti casi sono l’unica forza lavoro disponibile. E quindi dettano le condizioni.
Per questo la richiesta di gettonisti è ancora alta. Come conferma Sella: “Io ho tantissime proposte, ma nel tempo ho scelto: seleziono gli ospedali dove so di stancarmi di meno“. Una realtà molto distante da quella di chi lavora ancora nel Ssn, soprattutto nei pronto soccorso alle prese con un’emergenza diventata ormai sistemica. La mole di lavoro ridotta è tra le motivazioni principali di chi lascia i reparti di d’emergenza-urgenza pubblici, non tanto l’aspetto economico. Mauro, a ilfattoquotidiano.it, ha raccontato di essere sull’orlo del burnout e di aver rinunciato a un contratto a tempo indeterminato come dirigente medico nel Ssn per lavorare come gettonista: “Non potevo reggere ancora quei ritmi. Sotto i suoi occhi passavano fino a 40 pazienti in 12 ore. Non c’è riconoscimento sociale per le figure dei medici d’emergenza-urgenza”. E oltre alle mole di lavoro ridotta, per i privati c’è il guadagno. Giovanni Sella si sposta a seconda delle offerte: “Sono andato nelle Marche, a Pesaro e Fano, dove pagano molto bene, sui 100 euro l’ora. Ma anche in provincia di Rovigo”. La permanenza in ospedale, su un territorio con le sue peculiarità e necessità “è di un paio di giorni, a turni di 12 ore”. Poi si sposta, alla ricerca di un’altra proposta.