Cultura

Nelle aree del sisma 2016 i borghi medievali famosi nel mondo rischiano la scomparsa. E i restauratori lanciano l’allarme: “Manca personale nelle soprintendenze, così lavori a rilento”

di Martina Milone

Non solo ingegneri, geometri, architetti. Nel maxi-mondo dei tecnici del sisma, che dal 2016 lavorano per tentare di far tornare alla “normalità” un territorio ferito dalle scosse che hanno distrutto l’entroterra di quattro regioni, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, c’è una categoria che raramente viene citata. Si tratta dei restauratori. Il loro compito è arduo: conservare, ripristinare e poi riconsegnare alla comunità tutto il tessuto di opere e manufatti che, negli anni e nei secoli, hanno dato identità al territorio. Basti pensare alla quantità di chiese, affreschi, quadri, ma anche borghi medioevali che corrono lungo la dorsale appenninica e che rappresentano il cuore dell’Italia centrale, che rende il Paese riconoscibile in tutto il mondo.

“Fin da subito ci si è mossi per la salvaguardia – spiega al Fattoquotidiano.it Benedetta De Angelis, restauratrice, che lavora insieme al suo titolare Luigi Pisani, proprio sui manufatti danneggiati dal sisma – Le opere sono state portate via dai luoghi a rischio crollo e conservate in depositi”. Il lavoro vero, grazie ai fondi, è arrivato soprattutto nell’ultimo anno, da quando la ricostruzione ha iniziato ad approcciarsi anche ai centri storici che necessitano di maggiori tutele culturali.

“Inizialmente è stata restaurata una chiesa per ogni comune, così da consentire la prosecuzione dei riti religiosi – racconta Pisani, che da subito si è occupato si salvaguardare il patrimonio artistico colpito dal terremoto e che già nel 2009, da volontario, si era impegnato nello stesso lavoro per il sisma dell’Aquila – Lo stabile che aveva meno danni è stato restaurato. Poi è stata data la priorità alle abitazioni, principalmente quelle all’esterno dei centri storici. Così oggi siamo arrivati che le periferie sono quasi tutte appaltate, mentre i borghi storici sono fermi”. “Frammentare” un borgo, cioè dividerlo in “macro stabili” da ristrutturare non è semplice, così “ci sono dei rallentamenti all’interno degli Uffici speciali per la ricostruzione”. Il rischio, così come ricordava anche un paper della Banca d’Italia pubblicato ad aprile 2023, è quello dello spopolamento, se non altro dei borghi storici, che sono i più difficili da recuperare.

“I borghi – spiega ancora Pisani – hanno criticità strutturali e quindi si rischia la scomparsa del borgo medievale, della sua storicità“. Proprio i borghi medievali rappresentano l’identità storica dell’area del cratere, rischiare di perderli è quindi “preoccupante”. Eppure il destino sembra essere quello. “Ad esempio come restauratori siamo stati chiamati a Castel Sant’Angelo sul Nera perché il centro storico è stato danneggiato in maniera pesante – racconta De Angelis – c’era un affresco all’esterno di un palazzo e così siamo andati per staccarlo e tutelarlo“. L’affresco sarà poi riposizionato dove il Comune lo riterrà opportuno, ma intanto cosa ne sarà del borgo? Restaurare un borgo medievale, spiegano i professionisti, ha un costo al metro quadro altissimo. Un costo che spesso lo Stato non riesce a sostenere.

La perdita culturale, identitaria, è altissima: “Non avremo più il concetto di ‘tempo’. Non sentiremo più l’aria medievale – dice con rammarico Pisani – A sette anni dal sisma non siamo riusciti a fare delle considerazioni che tutelino sia l’aspetto economico che quello conservativo”.

I “beni mobili”, e cioè quadri, statue, e tutto ciò che è stato “spostabile” dall’iniziale contenitore, sono stati tutti tutelati e messi in salvo in circa sette depositi. Lo stesso Pisani, che ha curato negli anni restauri importanti, come quelli alle opere di Simone De Magistris, ma non solo, all’indomani del sisma è stato responsabile di uno dei primi depositi, quello di Amandola, che è stato poi aperto al pubblico per mostrare i restauratori all’opera e restituire alla comunità la fruizione di quelle opere. Quello che si rischia di perdere, invece, sono i cosiddetti “beni immobili”. E su questo pesa anche il fattore della sicurezza. “Non si possono far lavorare degli operatori su un immobile se questi non possono agire in sicurezza”, spiegano ancora al Fatto.it i due restauratori, sottolineando che non tutti i professionisti sono disposti (o in grado) a lavorare a determinate condizioni.

Oggi il lavoro è molto, spiegano ancora Pisani e De Angelis. Tanto che mancano i restauratori e le soprintendenze vanno in affanno. Solo la loro ditta ha lavoro per altri quattro anni e attualmente ha in mano 6/7 opere mobili in laboratorio, più sei cantieri con opere fisse, come decorazioni, affreschi, soffitti in legno, oltre a tutto il lavoro di progettazione di cui non tutti si occupano. Della mancanza di funzionari della Soprintendenza, d’altronde, si sta occupando anche il Commissario alla ricostruzione, Guido Castelli, che ha fatto sapere di aver avviato un dialogo con il ministero della Cultura. “Il problema non è una loro mancanza – spiegano i restauratori al Fatto.it – è che hanno un carico di lavoro enorme. Non vengono rimpiazzati, rimangono soli. Il loro obbligo è quello di tutela, quindi devono verificare il lavoro di restauro eseguito sull’opera. Essendo pochi, però, i pareri arrivano con lentezza e questo rallenta anche noi“. Ogni funzionario, secondo i loro calcoli, copre almeno 50 comuni del Cratere, in più “deve occuparsi della parte burocratica e delle relazioni con il pubblico”.

Il “dov’era, com’era”, motto ripetuto a ogni evento estremo, anche per i professionisti non è sempre semplice. L’esempio è quello dei beni immobili. Ma anche dei beni mobili. Tutti sono salvaguardabili, ma poi dove verranno posizionati? Sicuramente c’è la necessità, anche per riunificare un tessuto sociale sgretolato che su quelle opere aveva costruito anche un’identità, di renderli di nuovo fruibili, ma in un museo o nei loro precedenti “contenitori”, come chiese o palazzi storici?

Soprattutto i borghi meritano una riflessione anche storica. “Se ora questo sisma ha cancellato, sta cancellando o cancellerà parte di un borgo, forse ci dobbiamo anche rendere conto che se queste trasformazioni ci sono state è perché dovranno segnare il territorio – conclude Pisani – Fra un secolo potremmo leggere tutto nell’insieme“.

Twitter: @MartinaMilone92
E-mail: m.milone@ilfattoquotidiano.it

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