C’è un motto, quasi uno slogan, che a ogni evento estremo, dai terremoti alle alluvioni, tutti ripetono: “Ricostruire dov’era, com’era”. Per il sisma del centro Italia, che il 24 agosto 2016 ha devastato le aree interne di quattro regioni, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, però è stato da subito chiaro che sarebbe stato difficile far tornare tutto come prima. E a distanza di sette anni dalla prima scossa, l’impressione è rimasta la stessa. Lo raccontano i dati, che fotografano una terra sempre più destinata allo spopolamento, lo raccontano i borghi storici, molti dei quali ancora in “zona rossa”, lo raccontano le immagini che, in molte aree del cratere, sembrano rimaste ferme al 2016.
A fare i conti con una ricostruzione privata che solo oggi sta subendo un’accelerazione, una ricostruzione pubblica ancora in ritardo e circa 30mila persone tutt’oggi costrette a vivere fuori dalle loro abitazioni, da gennaio 2023 è arrivato il nuovo commissario Guido Castelli, espressione diretta del governo a guida Fratelli d’Italia che negli anni non ha mai smesso di criticare la gestione del sisma, tanto da fare del caso di Nonna Peppina un cavallo di battaglia per chiedere una “ricostruzione veloce”. L’ex sindaco di Ascoli Piceno si è ritrovato come eredità da una parte una situazione sicuramente non semplice, esacerbata sia dall’aumento del costo delle materie prime sia dall’esodo di molte ditte che hanno dato priorità ai cantieri del 110%, dall’altra un Testo unico per la ricostruzione già approvato dal suo predecessore, che, insieme ad altri provvedimenti, come il decreto ricostruzione, ha facilitato l’accelerazione degli ultimi mesi.
Castelli si è però anche scontrato con i dati. Uno su tutti, gli sfollati. Proprio a loro il nuovo commissario, nell’introduzione al Rapporto sulla ricostruzione aggiornato a maggio 2023, ha rivolto il primo pensiero, sottolineando, nel testo stesso del report, che va scritta la parola “fine” su questa condizione che “oltre 30mila cittadini vivono ormai da 7 anni”. A oggi, infatti, ancora oltre 14mila nuclei familiari di 294 comuni, cioè appunto più di 30mila persone, usufruiscono di una forma di assistenza abitativa “emergenziale”, che, nel concreto, vuol dire vivere nelle Soluzioni abitative di emergenza, le cosiddette “casette” che, racconta chi ci abita, “sembrano fatte di cartone”, oppure percepire il Cas, il contributo di autonoma sistemazione, pagato dallo Stato ed erogato mensilmente per far fronte alle spese di affitto. Nello specifico, secondo gli ultimi dati comunicati dalla struttura commissariale, al 30 luglio ci sono ancora oltre 10mila nuclei familiari che percepiscono il Cas, 3400 che abitano in una casetta e 516 che sono assistiti in altri modi, ad esempio vivendo nei Mapre, i Moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali o in container. Questo vuol dire che dei 41mila sfollati conteggiati subito dopo le scosse che uccisero 303 persone, solo 11 mila hanno fatto ritorno nella propria abitazione.
Se si passa per i borghi colpiti, da Amatrice, ad Accumuli, fino a Pescara del Tronto e Arquata del Tronto, quel che salta subito all’occhio, però, è la lentezza della ricostruzione. Le case sventrate sono ancora lì, così come le chiese distrutte. A ricordare proprio che quel “ricostruire veloce”, chiesto e sbandierato negli anni passati dall’allora opposizione (oggi al governo), forse non è così semplice. Basti pensare che, secondo quanto denunciato dal sindaco di Amatrice, Giorgio Cortellesi, nella città reatina simbolo del sisma in sette anni è stato ricostruito solo il 30%.
Un numero che i dati generali sulla ricostruzione privata confermano. Secondo l’ultimo aggiornamento della struttura commissariale, fino a luglio 2023 sono state presentate 28.855 richieste di contributo, di queste 17.478 hanno ottenuto un decreto di concessione per un valore totale economico di 6,66 miliardi concessi e 3,3 miliardi liquidati in base all’avanzamento dei lavori. In tutto sono stati autorizzati 17.442 cantieri privati nel cratere, ma conclusi meno di 9.500. A pesare sull’avanzamento della ricostruzione sono però anche le richieste di contributo mancanti. Secondo la stima della struttura commissariale, dovrebbero essere 50mila le potenziali richieste di contributo per un valore di 20 miliardi di euro. Ne mancherebbero all’appello oltre 20mila.
I numeri, rispetto al 2022, quando i valori tra domande da presentare e presentate erano praticamente invertiti, hanno sicuramente subìto un’accelerazione e c’è da dire che sono circa 30mila le manifestazioni di volontà a richiedere il contributo, cioè persone che non l’hanno chiesto ma che dicono di volerlo fare.
Ma sarà sufficiente a evitare lo spopolamento? Lo spettro del calo demografico, nelle aree dell’entroterra e dell’Appennino centrale, c’è e rimane. Un tema di cui negli anni si è discusso molto. Non è difficile, infatti, imbattersi in percettori di Cas che, non trovando una sistemazione nell’entroterra, si sono spostati a vivere sulla costa, e oggi quasi sicuramente non tornerebbero. Anche un “Occasional paper”, pubblicato dalla Banca d’Italia lo scorso aprile, dal titolo “L’effetto del sisma del Centro Italia sullo spopolamento dei territori colpiti”, ha posto l’accento sul problema e, analizzando tra le altre cose i dati Istat che tra il 1° gennaio 2016 e il 1° gennaio 2022 evidenziavano un calo demografico del 6,3% nell’Area del Cratere, una diminuzione tra le più significative del Paese, è arrivato alla conclusione che, sì, il terremoto ha “significativamente accentuato la riduzione della popolazione dei comuni colpiti”.
Intanto sta partendo anche la ricostruzione pubblica che, negli anni, ha accumulato ritardi, tanto che, secondo il rapporto di maggio 2023, “il 45% degli interventi finanziati erano ancora da avviare”, con “progettazioni avviate dopo un tempo medio di 27 mesi” e “solo il 7,2% concluso”. Oggi, si legge in una nota della struttura commissariale, “prendendo in esame gli ultimi Piani delle Opere Pubbliche approvati per le 4 regioni del sisma, pari a un valore di oltre 1,1 miliardi, dei 1.053 interventi riscontrati, in meno di sei mesi sono state avviate più del 95% delle progettazioni”.
L’impegno della struttura commissariale, comunque, c’è. Tanto che, nel solo mese di luglio 2023, sono stati erogati oltre 131 milioni di euro alle aziende che operano nella ricostruzione, cioè, dicono dalla struttura “il più alto valore mai erogato da Cassa Depositi e Prestiti dall’avvio dell’operatività”. Numeri alti, certo, ma basteranno per accelerare?
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