Perché si parla così tanto di influenza aviaria, considerando che il rischio di infezione per l’uomo rimane basso?

L’allarme lanciato negli ultimi mesi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dall’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (Woah) nasce dalle recenti ondate riscontrate su scala mondiale tra i mammiferi, che pongono rischi e spingono alla necessità di salvaguardare sia animali che uomo. Negli ultimi due anni quasi ottanta paesi nel mondo hanno segnalato focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità (H5N1) nel pollame e nei volatili selvatici, con oltre 130 milioni di animali persi per morte o abbattimento.

Il virus quindi continua a diffondersi nei cinque continenti, soprattutto nelle Americhe (nei mammiferi come visoni, orsi, volpi, foche e leoni marini), ma anche nei cani e nei gatti (è recente una segnalazione anche in Polonia). Senza dimenticare che, nei paesi meno sviluppati e con sistemi sanitari meno strutturati, è quasi certo che ci siano nuovi focolai che non vengano monitorati o segnalati.

L’Influenza Aviaria, si calcola, abbia ucciso milioni di uccelli selvatici in tutto il mondo, mettendo a rischio intere popolazioni di animali. Il violento impatto sulla fauna rischia di compromettere decenni di conservazione, portando all’estinzione delle specie più minacciate.

Il virus dell’Influenza Aviaria (H5N1) normalmente si diffonde tra gli uccelli, ma il numero crescente di segnalazioni tra i mammiferi (biologicamente più vicini agli esseri umani rispetto agli uccelli) solleva timori sull’evenienza che il virus possa adattarsi o modificarsi per infettare gli esseri umani. Inoltre, alcuni mammiferi possono fungere da serbatoi del virus e consentirne sopravvivenza e riarrangiamento, magari portando alla comparsa di varianti virali potenzialmente più dannose per gli animali e per l’uomo.

Come per la maggior parte dei patogeni emergenti, studiarne l’ecoepidemiologia è fondamentale per capire l’evoluzione, la patogenicità, l’habitat del patogeno, nonché le popolazioni e/o specie target e l’ambiente nel quale si muove. Queste informazioni hanno, nel caso dell’influenza aviaria, aumentato la preoccupazione globale in quanto il virus si è diffuso in nuove aree geografiche e ha coinvolto nuove specie animali, soprattutto tra i mammiferi.

Per quanto possa essere possibile un salto di specie all’uomo per effetto di alcune mutazioni, le infezioni segnalate nell’uomo di H5N1 sono davvero sporadiche (circa una decina finora i casi, per quanto con un tasso di mortalità molto alto). Il rischio per la salute umana rimane quindi potenziale, ma come detto da Oms e Woah bisogna continuare a seguire l’evoluzione e la diffusione del virus, con un’attività di vigilanza e monitoraggio delle sequenze genetiche per garantire una corretta valutazione del rischio e una migliore strategia di controllo della malattia su scala globale.

Per questo scopo, sarebbe da incoraggiare la collaborazione tra i vari settori della salute animale e umana, per condividere informazioni e valutare congiuntamente le azioni da predisporre.

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