Numero di identificazione P01135809. Capelli color “biondo o fragola”. 190 cm in altezza per quasi 100 kg. Sono i dati fisici e identificativi presi a Donald Trump all’entrata del carcere della contea di Fulton, in Georgia, dove l’ex presidente è stato incriminato per aver cercato di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020. A Trump sono state prese le impronte digitali ed è stata fatta la foto segnaletica – in cui appare con il volto leggermente di sbieco e un’espressione truce, di sfida, particolarmente belligerante. I suoi collaboratori avevano già compilato altri moduli. Anche la cauzione, 200 mila dollari, era già stata pagata. Tutto è durato molto poco: non più di 20 minuti. Trump, arrivato con un corteo di SUV neri, è subito ripartito. Davanti al carcere, supporters e avversari dell’ex presidente si sfidavano a pochi metri di distanza. Alcuni innalzavano cartelli invocandone l’arresto immediato, altri lo mostravano accanto a un poster di Nelson Mandela. L’ex presidente, che aveva voluto che la sua resa alla giustizia avvenisse in prime time serale, si è concesso qualche battuta finale. “È un giorno molto, molto triste per l’America. Abbiamo tutto il diritto di mettere in discussione un’elezione che pensiamo disonesta. Questo caso è un travestimento di giustizia”.

Si è conclusa così una delle giornate più drammatiche, e importanti da un punto di vista simbolico, della recente politica americana. Un ex presidente, il leader di una fetta importante di elettorato del Paese, l’uomo che ha rivoluzionato e sconvolto la politica Usa (e globale, o verrebbe da dire) si è consegnato in una prigione tristemente nota per le condizioni in cui vivono i detenuti, oggetto di un’inchiesta del Dipartimento alla Giustizia, spesso citato nelle canzoni rap e in cui un prigioniero è morto di recente “coperto di insetti e sporcizia”. A Trump sono stati contestati 13 diversi reati, insieme ad altri 18 coimputati, relativi a uno dei reati più gravi, forse il più grave, per chi si occupa della cosa pubblica. E cioè quello di aver cercato di falsare il risultato di un’elezione, facendo pressioni indebite sui funzionari della Georgia (la famosa telefonata al segretario di stato Brad Raffensperger per trovargli 11780 voti, uno in più di Joe Biden); inventandosi falsi grandi elettori da mandare a Washington al posto di quelli regolarmente eletti; cospirando, quindi, contro i fondamenti stessi della democrazia americana.

Questa della Georgia è la quarta incriminazione per Trump nel giro di pochi mesi. Forse la più circostanziata e dunque pericolosa, per lui. La District Attorney che conduce il caso, Fani T. Willis, ha scelto una strategia giudiziaria imperniata sul RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), uno statuto di solito utilizzato contro gang e mafie. Lo sforzo dell’accusa è proprio quello di mostrare un piano organizzato e criminale di Trump e dei suoi collaboratori per cercare di alterare il risultato elettorale, arrivando a falsare atti ufficiali e cercando poi di influenzare i testimoni. I reati per cui Trump è stato incriminato prevedono una condanna da cinque a vent’anni. Prima di lui, si erano consegnati alla giustizia della Georgia altri imputati eccellenti. I suoi avvocati, Rudy Giuliani e Sidney Powell. E, ancora, l’ispiratore e architetto “ideologico” del presunto golpe elettorale, John Eastman. Altri due coimputati, l’ex chief of staff della Casa Bianca, Mark Meadows e l’ex funzionario del Dipartimento alla Giustizia, Jeffrey Clark, hanno invece chiesto lo spostamento del caso a una corte federale. Spostamento che, al momento, non c’è stato, ma che resta l’obiettivo di molti degli imputati (in una corte federale potrebbero poi chiedere l’annullamento di un caso statale, come quello della Georgia, sulla base della “Supremacy Clause”).

A questo punto iniziano proprio le schermaglie tra accusa e difesa in vista del processo. Trump, nelle ultime ore, ha cambiato il capo del suo team legale, licenziando Drew Findling e nominando Steven Sadow, avvocato con una lunga esperienza nella difesa di figure di spicco nel mondo degli affari e della politica, ma anche di rapper locali. L’accusa vorrebbe fissare il processo in tempi molto brevi. Per uno degli imputati, Kenneth Chesebro, una data di inizio c’è già: il 23 ottobre. L’intenzione di Trump e di altri coimputati è invece quella di allungare il più possibile i tempi, chiedendo per l’appunto lo spostamento del caso a livello federale e forse, almeno nel caso di Trump, arrivando a interpellare i giudici della Corte Suprema sulla costituzionalità della sua incriminazione.

Far coincidere il processo con la campagna elettorale è del resto nel migliore interesse di Trump. Sinora nessuna delle accuse levate contro di lui – dalla manipolazione di libri contabili nel caso della pornostar Stormy Daniels fino allo spostamento di documenti top secret dalla Casa Bianca nella sua residenza di Mar-a-Lago – è sembrata scalfire la sua popolarità presso l’elettorato repubblicano. L’ex presidente guida in tutti i sondaggi per la nomination repubblicana alla presidenza, avanti di almeno 25 punti rispetto a Ron DeSantis, al momento il suo rivale più accreditato. Ogni incriminazione è stata anche l’occasione per rimpinguare le casse della sua campagna. Dopo la prima incriminazione, quella per Stormy Daniels, Trump ha fatto partire una raccolta fondi che, in pochi giorni, ha raggiunto i 15 milioni di dollari. Altri sette milioni sono stati raccolti dopo il caso dei documenti trafugati. Ieri, in coincidenza con la sua apparizione nel carcere di Fulton, è partita un’altra mail di Trump ai suoi sostenitori, in cui si chiedono donazioni contro una falsa incriminazione “progettata per infondere paura nei cuori del popolo americano, per intimidirvi e impedirvi di votare di salvare il vostro Paese nel 2024”.

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