Il generale Roberto Vannacci continua a far discutere e questa volta è il protagonista di un scontro tra i sindacati dei giornalisti Rai. Al centro della disputa c’è l’intervista andata in onda nell’edizione serale del Tg1 del 22 agosto scorso. “Una brutta pagina di giornalismo di servizio pubblico”, l’aveva definita l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. Per l’unione sindacale quella non era un’intervista ma una mera “dichiarazione del generale” che ha rappresentato un “esempio sbagliato dell’informazione che i cittadini devono aspettarsi dalla Rai”. Per l’Usigrai, “vista anche la rilevanza della notizia”, la questione necessitava “di un contraddittorio e di una contestualizzazione affinché i telespettatori potessero inquadrare correttamente quanto accaduto per potersi formare un’opinione sui fatti”. Cosa, per il sindacato, “non avvenuta”.

Parole che, però, non sono andate giù all’organo di rappresentanza sindacale dei giornalisti del Tg1. Per il Comitato di redazione, infatti, “i colleghi del Tg1 non hanno bisogno di lezioni di giornalismo da parte dell’Esecutivo Usigrai”. Accuse che vengono tacciate come “strumentali“, scrive il cdr del Tg1 in una nota sottolineando di non avere “mai taciuto le accuse di sessismo e machismo” relative al generale Vannacci e al suo libro. “Come in questo e in altri casi – scrivono i componenti del cdr – abbiamo vigilato, ribadendo che il diritto di fare domande è irrinunciabile ed inderogabile. Difendiamo la nostra autonomia e indipendenza – si legge nella nota – da qualsiasi tentativo di condizionamento esterno, compresi gli attacchi di alcuni gruppi editoriali concorrenti”. Cdr che, infine, auspica che l’Usigrai “si faccia portavoce delle reali necessità della testata ammiraglia della Rai”, facendo riferimenti a carenze di organico e qualità dei mezzi.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Le ultime notizie confermano quanto sia facile manipolare l’opinione pubblica tramite i media

next
Articolo Successivo

Tra frodi bancarie e ransomware: è l’era del falso. E anche la stampa ne alimenta la popolarità

next