Il timore è che quanto accaduto a fine luglio possa non essere un episodio isolato, ma ripetuto nei mesi precedenti. Gli inquirenti proseguono le indagini su quanto accaduto alle due cuginette di portate con l’inganno in un capannone abbandonato e violentate più volte da un gruppo di ragazzi nel Parco Verde a Caivano, nel napoletano. Per ricostruire l’esatta dinamica di quanto accaduto le indagini si affidano anche ai cellulari sequestrati ai presunti violentatori (tutti minorenni, anche sotto i 14 anni, tranne un 19enne che si trova in carcere). Ma anche al racconto delle due vittime, che agli inquirenti hanno raccontato appunto di altri abusi risalenti a “due o tre mesi fa”. Quindi episodi precedenti a quanto accaduto alla fine di luglio. Secondo Repubblica, tra i giovanissimi che hanno abusato delle 13enni ci sono anche figli di esponenti della camorra. E il branco non sarebbe composto da sei ragazzi, come inizialmente emerso: stando ai primi accertamenti, il numero degli aggressori potrebbe arrivare a 15, una decina i telefoni sequestrati su cui sono in corso verifiche. Gli abusi ripetuti più volte, nell’arco di alcuni mesi, sarebbero stati commessi sulle due cuginette che in realtà avrebbero 10 e 12 anni.

Le violenze sarebbero avvenuti nel Delphinia Sporting Club, un grande complesso sportivo abbandonato da più di cinque anni che si trova a poca distanza dal Parco Verde, zona molto degradata e piazza di spaccio tra le più grandi d’Europa. Lì le due bambine sono state attirate con l’inganno e solo grazie a un messaggio ricevuto dal fratello maggiore di una di loro sono partite le indagini. Il ragazzo infatti ne parla alla famiglia e davanti ai genitori le due cuginette raccontano tutto. Emergono indizi su altri episodi di stupro con le stesse modalità. Anche per questo la a Procura parla di una “situazione di chiara emergenza” quando motiva la decisione di allontanare le due minori da Caivano, disponendo il trasferimento in una casa famiglia. Nella relazione dei servizi sociali si parla di “grave incuria dei genitori che con ogni evidenza hanno omesso di esercitare sulla figlia il necessario controllo, così esponendola a pericolo per la propria incolumità”.

Una versione contestata dalla madre di una delle due vittime, che intervistata dal Messaggero dice: “Sono sicura, starà peggio di me, e io mi sento di morire, la rivoglio vicino a me. Pur sapendo i rischi che si corrono vivendo qui, in questo ambiente, non avrei mai potuto immaginare che fosse potuto succedere questo, che si fosse arrivati a tanto”. “Da parte mia – sostiene ancora la donna – non è mai mancata alcuna attenzione, ho sempre avuto lo scrupolo anche di controllare le sue amicizie, e persino il modo di vestirsi, quando usciva”. Sulla relazione degli assistenti sociali aggiunge: “Noi non abbiamo colpe. In questo degrado umano e sociale abbiamo fatto sempre il possibile per il bene di mia figlia, queste sono accuse che non meritiamo”.

Intanto le indagini proseguono, puntano soprattutto sull’analisi dei cellulari sequestrati al branco di ragazzini. I carabinieri stanno ispezionando il contenuto dei loro telefoni: il sospetto di chi indaga è che si possano trovare testimonianze foto e video di quanto accaduto. Degrado e violenze richiamano quanto successo nove anni fa, proprio a Caivano, e che molti ancora ricordano per la sua brutalità. L’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, la bambina di 6 anni violentata e buttata giù dall’ottavo piano, il 24 giugno 2014, dall’allora compagno della madre Raimondo Caputo. In quel caso un muro di omertà rese complicate le indagini, ma stavolta qualcuno ha parlato.

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