“Altre due ragazzine, proprio come mia figlia. Non posso non essere addolorata. Sto rivivendo quei giorni pieni di atrocità. Se là dentro, in quell’inferno, non si combatte, non si sa che cos’altro può avvenire. Non conosco quelle ragazzine, ma sono madre e ho perso mia figlia in una situazione molto simile. Almeno, loro due sono vive”. A parlare è Mimma Guardato, la mamma di Fortuna Loffredo, uccisa a sei anni perché si era ribellata all’ennesima violenza sessuale. Era il 2014 e questo fu il primo orrore che, per primo, concentrò i riflettori della cronaca nazionale sul Parco Verde di Caivano, dove il mese scorso si è consumata la vicenda dello stupro di gruppo su due ragazzine. Fortuna Loffredo fu scaraventata giù dall’ottavo piano del palazzo dove abitava da Raimondo Caputo, all’epoca compagno della madre, che da tempo abusava della bambina. Per quel delitto l’uomo è stato condannato in via definitiva all’ergastolo.

L’indagine sulla morte di Fortuna fu costellata di tentativi di depistaggio e false dichiarazioni da parte di chi conosceva e frequentava il nucleo familiare. Fu invece un’amichetta di Fortuna, sua coetanea, a raccontare agli inquirenti le violenze subite dalla piccola. Ora la donna vive a Faenza: “Lì non è cambiato niente. Dopo l’ultima udienza del processo per la mia bambina, ho preso i miei figli, ho fatto le valigie e me ne sono andata. E ora è tutto diverso: ero disoccupata, mentre qui lavoro in una grande impresa di pulizia. Stiamo bene. L’angoscia c’è sempre, ma dopo tanto dolore si deve ricominciare”. La donna a Caivano, spiega a Repubblica, torna solo per andare al cimitero: “Di quel palazzo degli orrori non voglio saperne più niente”. Il Parco Verde sembra un luogo senza speranza ma per la donna per salvarlo non può bastare don Maurizio Patriciello: “Ci vuole lo Stato, che lì non c’è. Non si può lasciare uno come don Patriciello a combattere da solo“.

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