Nel film Il concerto del 2009 di Radu Mihaileanu, la madre di un boss paramafioso russo, all’annuncio del figlio che si è comperato un’orchestra, replica dicendogli “Ti ho sempre detto di comperarti una squadra di calcio!” L’Arabia Saudita non si è comperata una squadra, si sta comperando il calcio, ma non è di questo che vorrei parlare: mi piacerebbe capire che cosa c’è dietro la scelta di andare a giocare in quel Paese. Soldi, tanti soldi, credo risponderebbero tutti, e fin qui siamo d’accordo. Ma la domanda che mi viene è: “Ne vale veramente la pena?”
Da un po’ di tempo sempre più pensatori dissertano sulla necessità di aspirare alla felicità, di puntare sulla felicità. Cerco di non banalizzare sul fatto che i soldi facciano o meno la felicità e provo a immaginare che cosa può aspettare una persona che decide di accettare questa offerta multimilionaria. Avrà una casa enorme corredata di piscina e di tutto quello che si possa immaginare, arredata con lusso in un grattacielo, un’auto favolosa e si potrà permettere un sacco di cose, se avrà dei figli frequenteranno scuole esclusive, e potranno permettersi tutto il griffato del mondo, un futuro dorato. Mi fermo qui ma credo che ognuno potrebbe aggiungere qualche cosa a questo elenco.
Fino ad ora abbiamo parlato di oggetti, di cose, di “roba” come avrebbe detto Giovanni Verga, cioè la moltiplicazione di quello che avevano già. E tutto questo vale l’abbandono di quello per cui hai sudato, corso e gioito per anni, assieme ai tuoi compagni e ai tuoi tifosi, al tuo mondo, alla cultura sportiva in cui sei vissuto? Ognuno fa le proprie scelte e ha le proprie motivazioni, Roberto Mancini incluso.
Interessante sarebbe poi sapere a che cosa si deve la scelta dell’Arabia Saudita di comperarsi “il pallone” come si faceva nei campetti da ragazzini. Anche qui si sono date tante risposte, dal puro business alla ricerca di un’immagine geopolitica diversa (non dimentichiamo che anche da noi molte personalità si sono costruite un’immagine anche politica attraverso il calcio), tutto può valere.
C’è una cosa però che non sopporto: il trasformare tutto in qualche cosa che si può comperare, scambiare, monetizzare. E’ questo un pessimo insegnamento al quale ci stiamo purtroppo abituando. Hai subito una perdita di affetti, di persone care? Potrai sperare di avere dei soldi. C’è stato un terremoto? Ti pagheremo. Non c’è posto al nido per i tuoi figli? Avrai un bonus. Così si inflaziona il mondo e si cancella la società.
Tornando al calcio, non è detto che debba finire in questo modo, non tutti sono in vendita e sono disposti a rinunciare alla propria storia. C’è un bel film con Stefano Accorsi Il Campione, in cui un campioncino con un grande futuro decide di fare l’esame di maturità, ritardando il passaggio al Club che l’ha appena comperato. Da Jeremy Bentham a Pareto a Daniel Kahneman in modo diverso sono concordi nel dire che c’è un limite quantitativo oltre il quale la felicità non cresce, il discorso è ovviamente diverso se questo limite non è dato dal denaro ma dal desiderio di fare la storia, come per l’ex CT della Nazionale Italiana.