Si riaccende la crisi in Nagorno Karabakh, l’enclave armena in territorio azero che da aprile vive in stato di isolamento dopo che le truppe azere hanno chiuso il passaggio dal corridoio di Lachin, l’unico accesso dall’Armenia ai territori dell’Alto Karabakh. Sergey Ghazaryan, ministro degli Esteri dell’autoproclamata repubblica, denuncia che è in atto “una politica del genocidio” da parte di Baku, che vuole “eliminare la popolazione indigena armena dalla loro patria. L’obiettivo dell’Azerbaigian non è altro che la ‘de-armenizzazionè del Nagorno Karabakh”. Ghazaryan sottolinea inoltre quanto la popolazione dell’enclave si trovi “vicina a una catastrofe umanitaria” e che la vita di “120mila persone è a rischio”. “Il Corridoio Lachin, la cui sicurezza è stata stabilita dalla dichiarazione trilaterale del cessate il fuoco del 2020, non è solo necessario per l’arrivo degli aiuti umanitari, è un elemento essenziale per la sicurezza del nostro popolo e per il nostro sviluppo socio-economico”, continua il rappresentante della repubblica non riconosciuta, sottolineando come “la sicurezza di tale passaggio sia un tassello fondamentale per raggiungere una pace duratura”.
Le proteste in Armenia – Una situazione che è sfociata anche in proteste nella capitale armena Yerevan, dove il 24 agosto i manifestanti hanno bloccato la città per esprimere il loro dissenso nei confronti dell’esecutivo del premier armeno Nikol Pahinyan e la sua gestione del negoziato di pace con l’Azerbaigian. L’opposizione accusa il premier di usare una linea troppo debole e chiede un azione rapida contro il blocco azero agli accessi al Nagorno Karabakh che sta determinando una crisi umanitaria nell’enclave armena lasciata da oltre due mesi senza assistenza umanitaria. Pashinyan a sua volta ha risposto alle proteste facendo sapere in un messaggio pubblico che “il negoziato verso la pace è l’unica strada per garantire all’Armenia una vera indipendenza”.
Le criticità nella zona di Lachin – Stando agli accordi di cessate il fuoco del 2020, il passaggio nella zona di Lachin doveva essere sotto il controllo delle forze d’interposizione russe, ma le truppe di Mosca hanno di fatto passato il controllo del posto di frontiera alle forze azere da questo aprile. Il rappresentante delle autorità del Karabakh non risparmia critiche all’Ue accusandola di “interagire regolarmente con l’Azerbaigian nonostante la azioni genocide che Baku sta attuando contro di noi”. Ghazaryan chiede infatti “sanzioni contro Baku”, e lamenta la lentezza dell’Ue nell’approvare misure contro l’Azerbaigian sottolineando come “questo comportamento dà all’Azerbaigian la fiducia nella propria impunità”. Intanto Euma, la missione civile di monitoraggio dell’Ue in Armenia, è partita a febbraio 2023.
Riguardo alle garanzie di sicurezza per gli armeni del Karabakh, punto fondamentale del processo di pace in corso tra Armenia e Azerbaigian, Ghazaryan insiste sulla necessità di “mediatori internazionali e un meccanismo internazionale ben progettato sul terreno”. In mancanza di garanzia di sicurezza per gli armeni del Karabakh, l’intero negoziato sarebbe infatti a rischio fallimento e tornerebbe “il pericolo di una ripresa delle ostilità, possibilità resa evidente dalle provocazioni, le violazioni del cessate il fuoco e le quotidiane minacce di ricorrere alla forza da parte dell’Azerbaigian“.
La missione europea – Nata da pochi mesi sullo stampo della vicina missione di monitoraggio in Georgia, Euma conta attualmente circa 100 impiegati europei tra cui un’italiana e 6 basi nelle regioni più esposte, tra cui il quartier generale nella cittadina di Yeghegnadzor. La missione rappresenta di fatto gli occhi dell’Ue sul campo e opera sulle basi di un accordo bilaterale con il governo armeno con il mandato di osservare e riportare a Bruxelles gli sviluppi su tutta la linea di contatto tra Armenia e Azerbaigian. Un mandato esteso a tutto il confine perché ciò che minaccia la fragile tregua tra i due Paesi non è solo più la questione del Nagorno Karabakh, che rimane fuori dal mandato della missione. Dal conflitto del 2020 le tensioni infatti si sono allargate a tutti i villaggi di confine con incursione azere in territorio armeno, allargando la tensione anche nelle regioni ad est o quelle ad ovest adiacenti all’exclave azera del Nakhichevan. Un mandato che inizialmente voleva garantire l’accesso a entrambi i fronti ma che ha incontrato il no secco di Baku, contraria alla presenza di qualsiasi missione internazionale sul suo territorio.
Gli osservatori Ue non sono però gli unici: i russi sono ancora presenti nella regione con oltre mille uomini armati, i cosiddetti ‘russian peacekeepers’, che è facile vedere sui loro camion verdi percorrere le stesse strade battute dagli europei. Dopo aver facilitato la firma del cessate il fuoco del 2020, l’Ue ha però progressivamente sfilato a Mosca il ruolo di mediatore nel conflitto caucasico ospitando a Bruxelles i negoziati di pace. Le truppe russe fino al 2020 erano percepite come garanzia di sicurezza per gli armeni ma dopo l’escalation non sono più viste di buon occhio da chi vive a ridosso delle trincee.