Alessandro Impagnatiello, l’uomo accusato di aver massacrato con 37 coltellate la fidanzata incinta, aveva provato ad avvelenarla per procurare l’aborto di quel figlio che gli impediva di vivere una relazione con una giovane collega che era la sua amante. Gli inquirenti di Milano, che contestano all’uomo la premeditazione, ipotizzano che Giulia Tramontano possa aver bevuto una bevanda calda in cui il compagno avrebbe aggiunto veleno per topi. Un’ipotesi che ha due elementi a supporto: un messaggio della ragazza “Non mi sento bene” trovato nel cellulare e la ricerca fatto da Impagnatiello su Internet sul veleno per topi alle bevande calde. In casa, come era emerso già a giugno con estrema chiarezza, era state trovate anche due bustine di veleno trovate in casa. Questo nuovo capitolo del piano dell’uomo per eliminare la donna e il figlio, come riportano alcune testate, è entrato nell’inchiesta che ancora non può contare sugli esiti definiti dell’autopsia con gli esami tossicologici o i risultati su pc e telefoni.
Certo è che, come raccontano Corriere e Repubblica, il barman ha fatto diverse ricerche: “Come uccidere una donna incinta col veleno” e “Come avvelenare un feto”. Come è andata poi è stato così ricostruito dagli investigatori dell’Arma: Impagnatiello, la sera di sabato 27 maggio uccide la giovane nella loro casa di Senago, poi tenta di bruciare il cadavere. Almeno 37 coltellate di cui due al collo che hanno reciso la carotide e la succlavia – l’arteria sotto la clavicola. Il pomeriggio prima di morire la donna aveva conosciuto l’amante dell’uomo con cui aveva avuto un dialogo sereno, anzi la giovane l’aveva messa in guardia e l’aveva anche invitata a non tornare a casa. Come se avesse un presentimento e quando l’uomo si era presentato a casa sua, dopo il femminicidio, non gli aveva aperto la porta.