“Incontro storico”. Ecco come titolano alcune testate giornalistiche italiane e internazionali descrivendo i colloqui che si sono tenuti a Roma, in un giorno non precisato della scorsa settimana, tra la ministra degli Esteri libica Najla al-Mangoush e il suo omologo israeliano Eli Cohen, una “prima volta” per parlare della “possibilità di relazioni e cooperazione” tra i due Paesi. La notizia arriva domenica 27 agosto con un comunicato del ministro israeliano che ringrazia “il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani per aver ricevuto e ospitato lo storico incontro a Roma”. Poche ore dopo arriva la replica da Tripoli. Il ministero degli Esteri libico ha descritto invece l’incontro come “casuale e non ufficiale” e il capo del governo Abdul Hamid Dbeibah, in un comunicato pubblicato sui social, spiega che al-Mangoush è stata “temporaneamente sospesa” e sarà oggetto di una “indagine amministrativa” da parte di una commissione d’indagine presieduta dalla ministra della Giustizia. La notizia del presunto incontro tra i due capi delle diplomazie ha però generato forti proteste in molte città della Libia contro la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, infiammando il clima interno libico e internazionale nelle relazioni tra il Paese arabo e lo Stato di Israele.

Le ambiguità sull’incontro – Secondo quanto riporta la dichiarazione del ministero degli Esteri israeliano, durante l’incontro a Roma, descritto come “il primo incontro diplomatico in assoluto tra i due Paesi”, si è discusso delle “relazioni storiche tra i popoli, dell’eredità ebraica in Libia, delle opportunità di cooperazione tra i due Paesi e dell’assistenza di Israele alla Libia in questioni umanitarie, dell’agricoltura e di gestione dell’acqua” e soprattutto “dell’importanza di preservare il patrimonio degli ebrei libici, che comprende il rinnovamento delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici nel Paese” nordafricano. Secondo, infatti, quanto riporta l’emittente televisiva pubblica israeliana (Kan), alcuni funzionari israeliani hanno spiegato che l’incontro tra Cohen e al-Mangoush era stato concordato in anticipo “ai massimi livelli” in Libia ed è durato più di un’ora e soprattutto che, durante la preparazione dei colloqui, “le due parti hanno concordato che l’incontro sarebbe stato annunciato pubblicamente”. Il Kan rivela poi che “i contatti israelo-libici non si sono limitati a questo incontro, ma piuttosto che negli ultimi mesi si sono svolti colloqui tra funzionari israeliani e libici” e che “negli ultimi mesi, Israele ha cercato di convincere la Libia ad aderire al Summit di Negev, che è il forum che riunisce i ministri degli Esteri di Israele, Stati Uniti, Marocco, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein”.

Il ministero degli Esteri libico, da parte sua, ha spiegato in un comunicato pubblicato poche ore dopo che al-Mangoush si era invece “rifiutata di incontrare qualsiasi esponente” che rappresentasse Israele. “Quello che è successo a Roma è stato un incontro casuale e non ufficiale, durante un altro meeting con il suo omologo italiano, che non ha comportato alcuna discussione, accordo o consultazione”, si legge in una nota del Ministero. Il dicastero libico ribadisce il suo “rigetto totale e assoluto alla normalizzazione con Israele” e sottolinea “in modo chiaro e inequivocabile la posizione della Libia riguardo alla causa palestinese”, aggiunge il comunicato, smentendo infine quanto riporta “la stampa ebraica e internazionale” e accusando Israele di aver tentato di “presentare questo incontro causale” come un “colloquio” formale.

Le reazioni – In Libia è però ormai scoppiato il caso, allargandosi alla questione politica già complicata del Paese arabo. Il governo di unità nazionale (Gun), presieduto da Abdul Hamid Dbeibah ha subito preso le distanze dalle affermazioni del ministero israeliano, spiegando in un comunicato che una commissione d’inchiesta presieduta dalla ministra della Giustizia Halima Al-Busaifi, è stata nominata per fare luce sul caso. Inoltre, Dbeibah ha incaricato il ministro della Gioventù, Fathallah Abdul Latif al-Zani, di assumere pro tempore il ruolo di ministro degli Esteri, in attesa dell’esito della commissione. In contemporanea il Consiglio presidenziale della Libia ha chiesto “chiarimenti” al governo, sottolineando duramente che l’incontro “non riflette la politica estera dello Stato libico, ed è considerato una violazione delle leggi libiche che criminalizzano la normalizzazione” con lo Stato di Israele e chiedendo infine al capo del governo “di applicare la legge se l’incontro avesse avuto realmente luogo”. In una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio stampa, l’Alto Consiglio di Stato, il “senato” libico, spiega che l’incontro è “una violazione delle regole di boicottaggio del nemico sionista e un’offensiva alla storia della lotta del popolo libico a sostegno della giusta causa palestinese” e chiede alle autorità competenti di “prendere le misure necessarie e a ritenere urgentemente responsabili gli interessati”. Intanto nelle strade di Tripoli domenica sera sono scoppiate proteste contro la normalizzazione con Israele e decine di manifestanti hanno preso d’assalto la sede del Ministero degli Affari Esteri libico. Le proteste si sono poi estese anche a Tajura e a Zawiya dove i manifestanti hanno bloccato le strade, bruciato pneumatici e sventolato la bandiera palestinese, mentre diversi partiti e associazioni della società civile hanno rilasciato dichiarazioni sul loro rifiuto totale di qualsiasi tipo di rapporto con lo Stato ebraico.

Il 28 agosto l’Agenzia libica per la sicurezza interna libica ha annunciato l’inclusione di al-Manqoush nell’elenco delle persone a cui è vietato lasciare la Libia in attesa dei risultati delle indagini della commissione governativa. La decisione, spiega l’agenzia in un comunicato, è arrivata dopo le indiscrezioni secondo cui la ministra avrebbe tentato la fuga con un aereo privato. Media libici confermano invece l’arrivo, all’alba di lunedì, del jet della ministra all’aeroporto internazionale di Istanbul e partito dall’aeroporto di Mitiga. Anche in Israele non sono mancate le critiche e le condanne alla “bagarre” diplomatica del capo del dicastero israeliano. Yair Lapid, leader dell’opposizione, ha attaccato il ministro degli Esteri Cohen per aver fatto “trapelare la notizia del suo incontro con la sua controparte libica” e dichiarato in un post su X che la mossa del ministero israeliano è stata “un atto poco professionale e irresponsabile e un grave fallimento del governo”. Da parte sua, l’ex ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha chiesto le dimissioni del governo di Benjamin Netanyahu spiegando sui social che le “relazioni estere dello Stato di Israele sono una questione delicata e seria, soprattutto quando si tratta di relazioni con i paesi arabi, e certamente con quelli con cui non abbiamo relazioni ufficiali”.

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