Al centro della polemica c’è l’ipotesi che la trasformazione fisico-somatica di attori non ebrei attraverso il classico trucco applicato sul viso o sul corpo in personaggi ebrei possa risultare una forma di antisemitismo
Una grossa protesi sul naso per diventare più ebrei. Le nuove interpretazioni di Bradley Cooper e Helen Mirren stanno facendo discutere. Su diverse testate anglosassoni, sezione cinema, è diventato un po’ tema del giorno. Si tratta del make up usato da Cooper nel suo film Maestro per trasformarsi nel celebre direttore d’orchestra Leonard Bernstein; come dei forti ritocchi per trasformare la premio Oscar inglese nella storica prima ministra israeliana, Golda Meir nel film per la tv Golda. La prima ondata di discussione è giunta dopo che la produzione di Maestro ha rilasciato la prima immagine in bianco e nero del film diretto e interprato da Cooper e che sarà in Concorso, nonché in anteprima mondiale, al Festival di Venezia il 2 settembre prossimo.
Ed è poi proseguito quando nelle sale statunitensi dal 25 agosto gli spettatori hanno seguito su grande schermo la Mirren ampiamente ritoccata, e quasi irriconoscibile, nei panni del primo ministro donna che diresse tentennando il governo israeliano nella guerra (dapprima disastrosa poi vittoriosa) dello Yom Kippur nel 1973. Al centro della polemica c’è l’ipotesi che la trasformazione fisico-somatica di attori non ebrei attraverso il classico trucco applicato sul viso o sul corpo in personaggi ebrei possa risultare una forma di antisemitismo. Del resto, Cooper ha modificato solo il naso, usandone uno più grosso e adunco, mentre la Mirren ha lavorato sia sul naso che su tutto il resto del viso come fece Gary Oldman per interpretare Churchill ne L’ora più buia (poi Oscar come miglior attore).
Da una parte della barricata ci sono i difensori delle scelte di trucco delle due produzioni. E tra questi ci sono i figli di Bernstein che hanno spiegato come gli attori da tempo immemorabile cerchino di assomigliare ai personaggi storici che mettono in scena utilizzando ogni tipo di trucco visibile e anche invisibile o più legato alla prospettiva sulla scena. Dall’altra molti dubbiosi tra cui la stessa Mirren che si è avvicinata a diversi detrattori della sua Meir con nasone pronunciato sostenendo che gli interrogativi “sono assolutamente legittimi”.
Un paio le posizioni interessanti sorte in seno a questo articolato dibattito che ha visto la partecipazione di molti intellettuali anglosassoni. Lo storico David Perry ha ricordato che comunque “qualsiasi persona non ebrea che si mette un naso finto per ritrarre un ebreo si scontra con una storia triste”. Mentre Mark Harris su Slate ha suggerito che questa “è la battaglia sbagliata da combattere”, concludendo che “c’è abbastanza antisemitismo palese e preoccupante da combattere che non abbiamo “bisogno di sprecare tempo ed energia cercando di trovarlo in un contesto diverso, quello dei nasi finti”. Curioso peraltro che la Mirren non è la prima ad interpretare colei che condusse un impreparato popolo israeliano in una guerra voluta dalle nazioni arabe e poi vinta: nel 1982 fu la grande Ingrid Bergman ad applicarsi un nasone finto per la miniserie A Woman Called Golda, interpretazione per la quale vinse un Emmy. A fil di cronaca non si ricordano polemiche di sorta.