Ambiente & Veleni

La crisi idrica nel Ponente ligure è, come al solito, una questione di soldi

“Dobbiamo andare a prendere l’acqua a monte. Il nostro territorio è un territorio che ha l’acqua ma bisogna cercarla, prenderla, trattenerla e fare un sistema di distribuzione moderno”. Così il sindaco di Imperia nonché presidente Ato Idrico Claudio Scajola in merito alla carenza idrica che sta mettendo in ginocchio l’imperiese (da: Primocanale.it, 16 agosto 2023).

Come al solito, è una questione di soldi. Lo specchio esatto delle litanie che vengono recitate dopo ogni alluvione. E i media che danno notizie e riportano commenti sulla “strana” siccità nel Ponente Ligure del 2023 si buttano a capofitto sull’aspetto finanziario, economico e contabile. Se i soldi ti permettono di comprare il più grosso dei diamanti, non sempre i soldi servono a dissetare la gente e irrigare i campi.

Chi subodora buoni affari reclama impianti di desalinizzazione a gogò; e, mettendo la sordina all’ABC, l’Analisi Benefici Costi, ignora la climatologia locale e glissa sulla sostenibilità ambientale. Chi è più affascinato dal greenwashing invoca il destino cinico e baro dell’improvviso, imprevisto e inatteso cambiamento climatico, ignorando che l’umanità sta salendo soltanto il primo, modesto gradino di una lunga scala che dovrà giocoforza salire. Chi si chiede come sia possibile una crisi siffatta in una delle nazioni e in una delle regioni più piovose d’Europa, viene messo all’angolo: “Non voglio però parlare di responsabilità perché ce ne è un po’ per tutti” (ibidem). Una variante del destino cinico e baro.

Dal 1925 al 2012, sono caduti mediamente 1.114 millimetri di pioggia ogni anno sul bacino idrografico dell’Arroscia, 1.099 su quello del Neva, i due torrenti che confluiscono nel fiume Centa che attraversa Albenga, non lontano dall’assetata Andora, in piena crisi. Dal 1925 al 2011, sono mediamente caduti ogni anno 1.166 millimetri di pioggia sul bacino dell’Argentina, l’antica Fiumara di Taggia che sfocia nel Tirreno tra Imperia e Sanremo. Insomma, sulle Alpi Marittime liguri piove almeno un metro d’acqua ogni anno (v. Figura 1). Sono dati ufficiali reperibili sui siti nazionali e regionali dedicati all’ambiente (vedi Annali Idrologici storici e Arpal Liguria). Dal 2012 in poi non vengono pubblicati dati idrologici.

In Italia cadono dal cielo circa 980 millimetri d’acqua all’anno, in media. Il Ponente ligure è perciò più fortunato di altre aree del paese. Nella vicina Provenza, le precipitazioni meteoriche non superano i 700 millimetri all’anno (v. Figura 2). La piovosità della Catalogna supera di poco i 600 millimetri annui (v. Figura 3). Per non parlare della regione valenciana (v. Figura 4). La crisi idrica del Ponente Ligure è il frutto avvelenato di un destino cinico e baro?

In attesa di una risposta istituzionale, qualcuno si domanderà come mai, dal 2013 in poi, non siano stati ancora pubblicati i dati idro-meteorologici. Personalmente, non so rispondere. Bisogna chiedere a chi, negli anni ’70 del secolo scorso, ha distrutto il Servizio Idrografico nazionale, delegando alla Regioni questo compito. Il Servizio Idrografico, istituito con i Decreti Luogotenenziali del 17 giugno e del 25 ottobre 1917, è stato una istituzione pionieristica e avanzata di alto profilo scientifico, secondo la lezione del suo fondatore, Giulio De Marchi del Politecnico di Milano. Un modello copiato in seguito dagli altri paesi, europei e non. La sua distruzione tramite proliferazione localistica di pani e pesci, poltrone, poltroncine e strapuntini è stato uno dei miracoli a rovescio di questo paese, l’esito infausto dell’attuazione dell’ordinamento regionale, poi santificato dall’unanime approvazione del Titolo V della Costituzione, mai passato al vaglio di un referendum popolare.

In materia di controllo sistematico del ciclo dell’acqua, l’ignavia della politica e della pubblica amministrazione è alimentata da una visione tossica del bene pubblico e da una cronica incapacità di concepire modelli concreti di sviluppo sostenibile. Misurare le precipitazioni in modo sistematico e, soprattutto, la portata dei fiumi è un’attività labour intensive e un impegno costante, che non tollera approcci episodici. Non fa rima con l’emergenza, il santo Graal della politica e dei media.

Ci sono buoni motivi perché questo controllo venga trascurato. È un lavoro oscuro e nello stesso tempo pericoloso, giacché diventa arduo confutare i dati misurati in caso di contenzioso. Le misure sistematiche evitano le sopraffazioni burocratiche, perché impediscono alla tecno-burocrazia d’imporre, senza spiegazioni né tema di contestazioni, il proprio punto di vista nel deliberare concessioni, emanare vincoli, prescrivere tecnologie. Meglio le congetture. Insomma, ci sono moltissime buone ragioni perché gli italiani non misurino più i deflussi fluviali e si affidino per le precipitazioni a iniziative episodiche non sempre conformi agli standard internazionali.