Stop all’abaya in classe perché la Francia è “santuario della laicità”. L’ultima battaglia tra il governo di Parigi e la comunità musulmana riguarda lunga e larga tunica che copre interamente il corpo delle donne, molto in voga tra le ragazze di banlieue, che ne fanno sfoggio in classe. Ad annunciarlo è stato il giovane e rampante ministro macroniano dell’Istruzione, Gabriel Attal, che ha deciso che non si potrà più indossare a scuola l’indumento, ormai venduto ovunque, anche nei grandi magazzini di insegne internazionali. Molto critica la sinistra, con La France Insoumise di Mélenchon che si è scagliata contro la “nuova assurda guerra di religione” e ha anticipato l’intenzione di rivolgersi al Consiglio di Stato contro la decisione del ministro, definita “crudele”.

Già da diversi mesi la moda della abaya, abito declinato anche in colori vivaci, è apparsa con evidenza in Francia, dove i media hanno dedicato molto spazio alla vicenda. In particolare, a differenza della passata battaglia contro il burqa o il velo, il dibattito si è concentrato sulla possibilità di vietare un abito tradizionale, non religioso. Che però i rappresentanti islamici più rigidi ‘consigliano’ di indossare dal momento che lascia scoperte solo le mani, oltre al viso. E’ ovviamente molto diffusa nei Paesi musulmani, in Arabia Saudita l’abaya di colore nero è stata obbligatoria per le donne in pubblico fino al 2018, data in cui il principe Mohammed bin Salman ne ha abolito l’obbligo. Per Abdallah Zekri, vicepresidente del Consiglio francese del culto musulmano, si tratta soltanto “di una forma di moda”: “Se andate in certi negozi, troverete le abaya. E’ un abito lungo e ampio, ma non ha nulla a che vedere con la religione”.

Il predecessore di Attal al ministero dell’Educazione, Pap Ndiaye, era stato costretto alcuni mesi fa a rispondere ai presidi che lo interpellavano sul da farsi di fronte al dilagare della moda dell’abaya, ma aveva rifiutato di “pubblicare cataloghi per precisare la lunghezza degli abiti” consentiti. Di tutt’altro avviso il giovane alfiere macroniano Attal, per il quale non soltanto nella abaya si ravvisa “l’ostentazione del segno religioso” vietata dalla legge, ma indossarla fa parte di un “attacco politico” davanti al quale la Francia laica deve “fare blocco”. “Non c’è posto per l’abaya nella nostra scuola – ha sottolineato Attal – in questi ultimi mesi le violazioni della laicità si sono moltiplicate, in particolare con l’esibizione di questi abiti religiosi come l’abaya e il qamis (la versione maschile, ndr)”. “Siamo sempre stati chiari – gli ha fatto eco il portavoce del governo, Olivier Véranla scuola è il tempio della laicità. Non si va a scuola per fare proselitismo religioso ma per imparare. Quando si è in classe non ci si deve trovare esposti all’ostentazione di segni religiosi”.

Mentre fra una settimana Attal comincerà a incontrare i presidi per comunicare le nuove regole da osservare, sono piovute le prime critiche da sinistra, in particolare da quella più radicale de La France Insoumise: “Fin dove arriverà la polizia dell’abbigliamento? – ha twittato la deputata Clémentine Autain -. La proposta di Gabriel Attal è incostituzionale, contraria ai principi fondatori della laicità. Sintomatica del rifiuto ossessivo dei musulmani. Appena rientrati dalle vacanze, i macroniani già provano ad attaccare da destra il Rassemblement National“. Ancora più duro il leader del partito, Jean-Luc Mélenchon, secondo il quale il rientro a scuola dopo le vacanze sarà “dominato politicamente da una nuova assurda guerra di religione”. Per lui, si tratta di una guerra “totalmente artificiale”: “A quando la pace civile e la vera laicità, che unisce invece di esasperare?”.

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