“I cittadini continuano a chiedermi quando arriveranno i soldi. Io rispondo loro di avere ancora un po’ di pazienza… Ma è come avere una sfera di cristallo, e a forza di guardarci dentro vado in difficoltà anche io”. Chi parla è Massimiliano Pederzoli, sindaco di Brisighella, un paese in provincia di Ravenna sull’appennino romagnolo. Dal 2019 Pederzoli è alla guida del Comune sostenuto da una giunta di centro-destra (“ono l’unico sindaco leghista di tutta la provincia”, sottolinea non senza orgoglio). Ma quando iniziò il mandato, mai avrebbe immaginato che il suo borgo medievale quattro anni più tardi sarebbe finito travolto da più di cinquecento frane che hanno causato il crollo di due ponti, l’interruzione di tutte le strade e gravi danni alle case e agli edifici pubblici. Dalla nomina di Francesco Figliuolo come commissario fino all’accesso ai fondi stanziati dallo Stato, durante questi mesi l’alluvione che ha devastato l’Emilia-Romagna si è trasformata in uno scontro politico tra il governo di Giorgia Meloni e il governatore dem Stefano Bonaccini. Lontano dai palazzi del potere più in vista, però, Brisighella e altre decine di piccole località montane della Romagna continuano a vivere nell’emergenza schiacciate dalle conseguenze di una calamità che non ha fatto distinzioni di orientamento politico.
“Dal governo servono più fondi” – Tra il 16 e il 18 maggio gli abitanti di Brisighella sono stati colpiti da un disastro idrogeologico: a valle il fiume Lamone ha esondato e l’acqua ha inondato case, strade e strutture sportive; a monte, invece, tonnellate di terra e massi si sono staccati dal pendio della montagna e hanno travolto l’altra parte del paese. Oggi il fango non c’è più e la viabilità è stata ripristinata grazie ai lavori di somma urgenza. Per realizzarli il Comune ha speso circa un milione e mezzo di euro. Ma le crepe larghe centimetri che attraversano le pareti delle case suggeriscono che c’è ancora tanto da fare e da spendere: “Se vogliamo tornare a come eravamo prima, ammesso che sia possibile, ci serviranno più risorse di quelle messe a disposizione dal governo – spiega Pederzoli riferendosi a tutte le comunità alluvionate. A mio avviso i 4,5 miliardi di euro sono sufficienti per i lavori di somma urgenza, ma per la ricostruzione effettiva i 9 miliardi stimati dalla Regione sono una cifra realistica”. Per le comunità montane alluvionate l’urgenza è consolidare gli interventi provvisori e installare gabbionate e altre strutture per prevenire eventuali nuovi crolli prima che l’autunno porti pioggia e altri eventuali danni. Con quali soldi al momento è difficile saperlo, visto che Brisighella e tanti altri piccoli Comuni dell’entroterra romagnolo hanno terminato le poche risorse disponibili e stanno anticipando tutti i costi. Gli uffici tecnici lavorano ogni giorno senza sosta per inviare agli uffici del commissario i progetti degli interventi attendendo che qualcosa si sblocchi: “Personalmente non mi sento lasciato solo, ma è una situazione straordinaria che non si può affrontare con la burocrazia ordinaria – dice il primo cittadino – al commissario ho richiesto più tecnici perché un altro problema dei piccoli Comuni sono le forze limitate. Ma al momento non ho ricevuto riscontro”.
Senza vigili del fuoco né risorse economiche – Gli abitanti di Roncofreddo, nell’alta valle del Rubicone, sono rimasti senza soldi per riparare i danni e senza vigili del fuoco per essere aiutati. Le squadre si sono ritirate a fine luglio e con loro tutti gli automezzi che avevano permesso al paese di liberare dalle frane le frazioni isolate. Ma tante strade comunali sono ancora distrutte e i lavori di somma urgenza effettuati non bastano per ripristinare la viabilità: alcuni residenti infatti sono costretti a guidare in mezzo ai frutteti o attraverso cortili privati per raggiungere la propria abitazione. “Viviamo in una situazione di stallo e nessuno ci sta dando una risposta – racconta la vicesindaca di centro-sinistra Daniela Dellachiesa – dei 400mila euro di avanzo libero comunale non ci è rimasto nulla. L’autunno rischia di cancellare tutti gli interventi provvisori che siamo riusciti a fare”. Intorno al centro storico di Roncofreddo abbondano le aziende agricole e vinicole a cui l’alluvione ha dimezzato raccolto e ricavi: “Anche per loro è stato un anno nero – prosegue Dellachiesa – siamo tutti preoccupati perché non abbiamo nessuna certezza su come riusciremo a ripartire”.
L’emergenza dietro le polemiche – Nelle altre province la situazione non migliora e chi prova a guardare al futuro non vede nient’altro che incertezza. Nelle settimane scorse un nuovo allarme è arrivato dai circoli del Partito Democratico della valle del Savio, sulle colline forlivesi e cesenati, preoccupati dal “progressivo spopolamento” e dalla “perdita di servizi essenziali e della possibilità di lavoro” mentre si avvicina l’autunno “con l’apertura delle scuole, strade ancora inagibili e rischio piogge”. Poi l’accusa verso il governo Meloni di “lentezza sistematica negli interventi post-alluvione”. Su falsariga del botta e risposta nazionale, alla nota congiunta hanno reagito gli esponenti territoriali di Fratelli d’Italia che hanno difeso i modi e i tempi dell’esecutivo: “Non si possono erogare miliardi da un giorno all’altro – hanno commentato –. L’esecutivo ha dato sostegno immediato nei giorni dell’emergenza per poi individuare un percorso per dare risposte rapide e veloci, ma senza agire con una fretta che ha portato errori”.
Dietro il rumore del dibattito rimane l’angoscia dei piccoli paesi ancora in ginocchio: “Non pretendo la ricostruzione immediata ma almeno di ricevere un segnale di ripartenza, non importa se viene dalla Regione o dal governo – dice la sindaca di Mercato Saraceno, Monica Rossi –. Qui siamo davvero preoccupati perché mentre dobbiamo far fronte a 7 milioni di danni, l’inverno si sta avvicinando”. E mentre la Riviera romagnola tira le prime somme di una stagione balneare negativa, nell’entroterra riminese alcuni sfollati non hanno ancora fatto ritorno nelle proprie abitazioni. È il caso di alcune famiglie residenti a Novafeltria e a Montescudo-Monte Colombo: al primo agosto gli evacuati erano almeno dieci, che venivano ospitati da amici e parenti e ricevevano un indennizzo dallo Stato. “Vengono a chiedermi quando potranno tornare nella loro casa ma i tempi saranno ancora lunghi” aveva commentato il sindaco di Montescudo-Monte Colombo Gian Marco Casadei. Ilfattoquotidiano.it non è riuscito a entrare in contatto con entrambi i primi cittadini per avere aggiornamenti sulla situazione.