Lo smaltimento in mare dell’acqua debolmente radioattiva di Fukushima è stata oggetto di numerose proteste da parte di Cina e Corea del Sud. Si tratta di giuste preoccupazioni? Il sito dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha spiegato che la procedura è stata attentamente valutata e approvata. Gli elementi radioattivi presenti sono stati filtrati via dall’acqua con un sistema molto efficiente (ALPS). L’unico rimasto (in quantità minime) è il trizio (T), che è un isotopo dell’idrogeno, cioè nel nucleo contiene due neutroni ed è radioattivo, con un tempo di dimezzamento di 12 anni. La sua rimozione è particolarmente complessa perché l’acqua contenente trizio (HTO) ha proprietà chimiche quasi identiche a quelle dell’acqua comune (H2O). Bisogna considerare che numerose centrali nucleari nel mondo scaricano nell’ambiente acqua debolmente radioattiva come procedura standard. Il rilascio dell’acqua di Fukushima avverrà durante decenni, e le forti correnti oceaniche diluiranno ulteriormente il trizio.
Se persino l’AIEA non rileva criticità nello sversamento di questa acqua radioattiva, va quindi tutto bene?
La produzione delle 1.3 milioni di tonnellate di acqua di Fukushima è iniziata dopo il disastro del marzo 2011 quando tre dei sei reattori subirono un devastante meltdown. Ricordiamo brevemente gli eventi. L’11 marzo arrivò un terremoto molto forte, che non causò danni significativi ai reattori reattori giapponesi, che si arrestarono in modo automatico. Tuttavia, anche il reattore spento emette una significativa quantità di calore e ha bisogno di raffreddamento attivo. Il terremoto mise fuori uso la rete elettrica, ed entrarono in funzione i generatori diesel di emergenza. Nella regione di Tohoku gli tsunami dopo i terremoti sono purtroppo frequenti, una dozzina con onde superiori ai dieci metri negli ultimi cento anni, con quello del 1896 con onde che raggiunsero addirittura i 38 metri. Nel 2011, quaranta minuti dopo il terremoto, arrivò un’onda di tsunami alta 13 metri, che sommerse e mise fuori uso i generatori, lasciando il sito senza corrente elettrica.
In assenza di raffreddamento attivo per diverse ore, il nocciolo di tre reattori fuse, raggiungendo temperature di oltre 1000 gradi. Lo sviluppo di idrogeno causò tre esplosioni di origine chimica che portarono al rilascio di isotopi radioattivi nell’aria. In seguito al disastro di Fukushima, la popolazione in un raggio prima di 20 chilometri e poi di 30 chilometri fu evacuata. Fortunamente, grazie alla direzione dei venti al momento, l’80% della radioattività ricadde nell’oceano per cui solo una parte minoritaria del territorio fu contaminata. Anche se non ci furono decessi immediati dovuti alla sindrome acuta da radiazioni, secondo World Nuclear Association, l’evacuazione di oltre 150.000 persone ha causato negli anni 2313 vittime, per lo più tra persone fragili e anziane, in aggiunta alle 19.000 vittime imputabili al terremoto e tsunami.
Il conto totale dei danni, compresa la decontaminazione delle zone dove c’è stata maggiore ricaduta di materiale radioattivo compresa quella che ancora oggi è interdetta, potrebbe superare i 150 miliardi di euro. Lo smantellamento dei reattori (decommissioning) richiederà da 30 a 40 anni.
La cosiddetta “acqua di Fukushima” è quella che è venuta in contatto con il combustibile nucleare. Proviene dal mare ed è stata usata per raffreddare i reattori nell’immediata emergenza e in seguito, ed è quella piovana che è stata raccolta negli anni. Fino ad adesso è stata stoccata in circa mille serbatoi temporanei. Visto che la produzione di acqua radioattiva non si è mai arrestata, era impossibile iniziare il decommissioning senza smaltirne almeno una parte. Secondo il cronoprogramma, fino a marzo 2024 sarà sversato il contenuto di soli dieci serbatoi dei mille totali e entro dieci anni si arriverà a un terzo del totale. Il problema reale non è l’acqua radioattiva ma il combustibile nucleare fuso e detriti (880 tonnellate) che rimane negli scheletri dei reattori 1, 2 e 3 dell’impianto.
A causa dell’elevato livello di radiazioni, l’accesso agli operatori in questi ambienti è estremamente problematico e fino ad adesso è avvenuto tramite dei robot. Finché non sarà rimosso il combustibile residuo (e non sarà semplice), sarà prodotta altra acqua radioattiva. Ecco perché lo sversamento è l’unica soluzione praticabile.
Infine, il sistema di filtrazione è certamente efficiente, ma non distrugge i composti radioattivi presenti nell’acqua ma li concentra nei fanghi creando altri rifiuti nucleari.
In conclusione, gli allarmismi sullo smaltimento controllato dell’acqua debolmente radioattiva in mare non sono quindi giustificati. Bisognerebbe però riflettere su quanto sarà complesso rimuovere e custodire in sicurezza tutte le scorie nucleari presenti a Fukushima. E anche negli altri reattori dismessi e in fase di dismissione nel mondo, considerando che l’età mediana di quelli attivi è già 38 anni. Prima di invocare in modo semplicistico e propagandistico la costruzione di nuovi reattori, bisogna prendere spunto da quanto sarà complicato e dispendioso questo compito.