di Andrea Vivalda
Solo negli ultimi mesi si contano decine di feriti, fra passeggeri e membri dell’equipaggio, in svariati incidenti aerei dovuti a fenomeni di turbolenza in volo. Poche ore fa, 11 passeggeri del volo Delta Airlines Milano-Atlanta sono stati ricoverati in ospedale per lesioni dopo che l’Airbus 350 su cui viaggiavano ha subìto una violenta turbolenza in fase di discesa. Altri tre incidenti sono avvenuti solo nel mese di marzo: una turbolenza ha procurato danni tali all’aeromobile Lufthansa Austin-Francoforte da obbligare i piloti all’atterraggio d’emergenza in Virginia; sul volo Condor Francoforte-Mauritius 20 passeggeri sono rimasti feriti, mentre un passeggero ha addirittura perso la vita a causa della violentissima turbolenza che ha colpito il velivolo su cui si trovava nei cieli del New Hampshire.
Secondo lo studio scientifico recentemente pubblicato su Geophysical Research Letters, l’aumento della frequenza dei fenomeni di turbolenza violenta è stato del 55% negli ultimi anni ed è strettamente correlato al processo di cambiamento climatico che sta interessando il pianeta. La tendenza alla tropicalizzazione del clima porta infatti alla radicalizzazione dei fenomeni atmosferici e al generarsi di instabilità localizzate che possono provocare repentine, inaspettate e violente variazioni di direzione e velocità del vento o a sbalzi verticali che rappresentano una seria minaccia per un velivolo che le stia attraversando.
Oltre alle turbolenze che si verificano in presenza di nubi e a quota medio-bassa che possono colpire nelle fasi di avvicinamento alla destinazione o di post-decollo, risultano particolarmente pericolosi i fenomeni di cosiddetta “turbolenza in aria limpida” o Cat (Clear-Air Turbulence), che possono avvenire anche ad alta quota e non sono prevedibili con i radar meteorologici di bordo in quanto avvengono in assenza di nubi. Verificandosi con queste modalità, i fenomeni Cat possono colpire senza alcun preavviso anche un velivolo in fase di crociera, quando i passeggeri non hanno le cinture allacciate o non sono seduti, oppure i sedili sono abbassati per riposare o si stanno servendo i pasti, moltiplicando radicalmente le probabilità di ferimento delle persone a bordo.
Non solo dunque inondazioni, uragani, tempeste, incendi, siccità. A causa della crisi climatica dobbiamo prepararci anche a fenomeni di questo tipo che mettono a repentaglio la sicurezza del trasporto aereo e che sono destinati ad aumentare con sempre maggiore rapidità, colpendo proprio il settore – quello dell’aviazione – che rappresenta una delle principali cause di riscaldamento climatico, con il suo impatto del 7% sulle emissioni di gas serra a livello mondiale (fonte Wwf). Fra globalizzazione e corsa al profitto incurante della sostenibilità ambientale, il traffico aereo mondiale è infatti quasi triplicato dal 1990 ad oggi, contribuendo in modo decisamente significativo, quasi come in un grottesco contrappasso dantesco, proprio a quel riscaldamento globale a sua volta responsabile dei fenomeni di turbolenza che mettono a rischio l’aviazione stessa.
Al di là delle pleonastiche proposte delle Autorità Aeronautiche per mitigare i rischi, come quella di mantenere le cinture allacciate per tutta la durata del volo, per affrontare il problema – come per tutti gli altri effetti nefasti della crisi climatica – è necessaria un’immediata e seria presa di coscienza da parte dei governi mondiali sulla necessità ormai improrogabile di riuscire almeno a interrompere il riscaldamento climatico, intervenendo con piani di ampio respiro atti a cambiare radicalmente il modo in cui produciamo, utilizziamo (e sprechiamo) energia anche per trasportare persone e cose nel mondo e imponendo il concetto di sostenibilità davanti a qualunque altra priorità (profitto compreso) in tutte le attività umane: sociali, industriali, economiche.
Purtroppo però, visti i risultati (pari a zero) degli ultimi summit sul clima, per ora allacciamo le cinture. E speriamo bene.