Il ritorno dalle ferie è stato un bagno di realtà per il governo di
Giorgia Meloni. La caccia alle coperture per la
manovra si sta rivelando complicatissima e la
frenata dell’economia registrata nel secondo trimestre ha già iniziato a erodere
posti di lavoro. I dati
Istat diffusi giovedì mostrano che a luglio, complice il calo del pil in primavera e una
stagione turistica più fiacca delle attese, gli occupati sono diminuiti per la prima volta dallo scorso novembre: se ne contano 73mila in meno, il calo maggiore dall’agosto 2022 quando a Palazzo Chigi c’era ancora Mario Draghi. Sono stati lasciati a casa
62mila lavoratori precari e 7mila a tempo indeterminato e in parallelo sono aumentati i
disoccupati (+37mila) ma anche gli
inattivi (+14mila), cioè persone che hanno rinunciato a cercare un posto. Un quadro che stride con
la narrazione secondo cui l’abolizione del reddito di cittadinanza per gli “occupabili” – quelli che lo ricevevano da gennaio hanno avuto l’ultimo pagamento proprio a luglio – avrebbe finalmente consentito alle imprese di coprire posizioni rimaste vacanti per mancanza di candidati.
Va detto che il numero degli occupati è ancora a quota
23,5 milioni, 362mila in più rispetto a luglio 2022, grazie a un notevole aumento dei dipendenti stabili (+447mila). E un solo mese in negativo può essere poco significativo. Ma la congiuntura internazionale, con la
Germania in recessione e l’intera area
Ocse che rallenta mentre le previsioni sulla crescita cinese peggiorano, porta a pensare che sia solo l’inizio. La
fiducia delle imprese in agosto è crollata in tutti i comparti,
dalla manifattura alle costruzioni, e altri segnali di allarme arrivano dai
servizi: il fatturato, che aumentava senza interruzioni da più di due anni, tra aprile e giugno è calato. L’istituto di statistica spiega che è l’effetto di un andamento negativo del commercio all’ingrosso e del magazzinaggio. Il trend delle
vendite alimentari al dettaglio, in volume, è in calo già dall’inizio del 2022 come diretta conseguenza del boom dei prezzi. L’
export in volume perde terreno da aprile. “L’industria sta ormai andando in
recessione, non solo in Italia, mentre
servizi e costruzioni sono in graduale rallentamento”, riassume l’economista
Fedele De Novellis,
responsabile del gruppo di lavoro Previsioni e analisi macroeconomiche di
Ref Ricerche. “L’occupazione di conseguenza non può che smettere di aumentare, dopo alcuni trimestri di disallineamento durante i quali è andata bene nonostante l’economia ristagnasse”.
In attesa dei conti economici del secondo trimestre in arrivo dall’Istat venerdì, che consentiranno di capire quali componenti hanno determinato il calo del pil, De Novellis anticipa che anche il terzo trimestre si rivelerà più debole delle attese visto che il turismo ha registrato numeri inferiori a quelli del 2022. Pesa anche la riduzione del credito in seguito all’aumento dei tassi di interesse: “Questo sta iniziando a ridurre la domanda di beni durevoli in tutti i Paesi. Nel frattempo anche la domanda estera rallenta. In Italia il ciclo delle costruzioni è ancora vivace grazie alla proroga dei bonus edilizi, che però l’anno prossimo verranno ridotti o si esauriranno. In questo quadro la crescita non arriverà all‘1% che era previsto nel Def: saremo sotto di qualche decimo. E anche il 2024 andrà peggio del previsto”. Nella Nota di aggiornamento in arrivo entro fine settembre il governo dovrà prenderne atto. Ha senso, con questa congiuntura, eliminare il reddito? “È una decisione politica che arriva in un momento già difficile: le fasce deboli sono state colpite più delle altre dalle conseguenze del Covid e poi dell’inflazione. Se ora anche il mercato del lavoro cede, verrà meno anche l’ultimo tassello e le famiglie con redditi bassi saranno del tutto in balia della macroeconomia. Ci vorrà attenzione nel calibrare le conseguenze sociali delle scelte”.