Il nuovo ruvido attacco del governo ucraino a papa Francesco è un errore. Un grave errore politico. Perché presume di potere prendere simbolicamente a schiaffi il pontefice come a suo tempo è stato fatto nei confronti del presidente tedesco Steinmaier (accusato di essere stato troppo “invischiato” con i russi) finché il governo Scholz non ha ceduto su tutta la linea nel fornire armi all’Ucraina e rinunciando a un ruolo autonomo nel conflitto russo-ucraino. Ma è un grave errore anche per il momento scelto.
In collegamento con un convegno di giovani cattolici russi a Pietroburgo Francesco li aveva esortati ad essere “artigiani di pace… (e) a spargere semi di riconciliazione in questo inverno di guerra”, attingendo alla grande eredità culturale del loro Paese, la Russia dei santi, dei re, di Pietro il Grande, di Caterina II, quell’“impero russo di tanta cultura, di tanta umanità”. Violenta è stata la reazione del portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko: il discorso papale riflette la “propaganda imperialista” russa, missione del pontefice, “a nostro avviso, è quella di aprire gli occhi della gioventù russa sul corso distruttivo dell’attuale leadership russa”. Più violento ancora il commento del consigliere di Zelensky, Mikhailo Podolyak: le parole del Papa sono un “incoraggiamento incondizionato all’imperialismo aggressivo, un plauso all’idea sanguinaria del ‘mondo russo’… Francesco incoraggia le manie genocide di Putin”.
Asciutta la reazione del portavoce papale, Matteo Bruni: nel saluto ai giovani cattolici russi il Papa intendeva incoraggiare l’uditorio a promuovere “quanto c’è di positivo nella grande eredità culturale e spirituale russa e certo non esaltare logiche imperialistiche”. Riusciranno le reazioni di Kyiv a intimidire Francesco e a modificare il corso della diplomazia vaticana?
Riusciranno ad allargare il consenso attorno alla piattaforma politica di Zelensky? E’ logico dubitarne. Perché quanto più procede la guerra tanto più è manifesto che il conflitto fa parte di un gioco geopolitico a livello mondiale e nessuno può credere – come si è espresso icasticamente il pontefice argentino – che si tratti “della favola di Cappuccetto Rosso e il lupo”.
Certo che la Russia di Pietro il Grande e Caterina II è stata imperiale e imperialistica, intrecciando cultura e sete di dominio. Ma è un tratto di tutte le grandi potenze europee fino alla catastrofe della Seconda guerra mondiale. Imperiale e imperialistiche sono state la Gran Bretagna e la Francia, sete di dominio ha caratterizzato la monarchia asburgica, imperialistica è stata la Germania guglielmina.
Francesco lo ha già detto: il patriarca Kirill non faccia il chierichetto di Putin. La condanna papale dei massacri operati dagli invasori russi nella “martoriata Ucraina” è continua. Però, come ha ricordato un dirigente del dicastero vaticano per la Comunicazione, Andrea Tornielli: “Il Papa non è il cappellano dell’Occidente”. Non vuole esserlo e non lo sarà mai. Sulla scia di una lunga tradizione, da Giovanni XXIII a Paolo VI, a Giovanni Paolo II.
Al di là di qualche eccessivo svolazzo retorico Francesco è guidato da un principio di fondo. Il pontefice argentino è contrario all’odio tossico, alla demonizzazione metafisica che si sta sviluppando nel corso di questo conflitto. Qualcosa che va al di là della giusta rabbia contro il nemico e (si potrebbe aggiungere laicamente) del legittimo desiderio di ucciderlo sul campo. Quando il governo di Kyiv vieta per decreto ogni prodotto della cultura russa (cinema, teatro, opera, balletto, libri, video) non è una risposta razionale ai deliri e alle farneticazioni di certi discorsi di Putin o della sua spalla Medvediev. E’ l’esplosione – così la avvertono in Vaticano – di un odio illimitato, un odio di Stato, contrario ai valori dell’umanesimo europeo, un odio che assume tinte brutalmente etniche.
Sulla stampa inglese è stato ricordato che mentre Hitler attaccava Londra, ai concerti si continuava a suonare le musiche di Wagner e nessuno si sognava di abolirle. In Italia ricordiamo che il presidente Mattarella stoppò fermamente il tentativo di gruppi ucraini di bloccare la rappresentazione del Boris Godunov alla Scala.
Francesco non accetta l’idea di un “odio di Stato”, sia per motivi etici sia perché è un ostacolo irrazionale a una pace da costruire. “La soluzione dei conflitti – ha detto esplicitamente il cardinale Segretario di Stato Parolin nella sede della Civiltà Cattolica alla presenza del premier Meloni – non giunge polarizzando il mondo tra chi è buono e chi è cattivo”.
Pesa anche la temperie politica attuale. Sì, c’è una frattura tra il Vaticano e il governo di Kyiv e parte dei governi dell’Europa orientale (e c’è tensione tra il pontefice e la gerarchia greco-cattolica ucraina). Sì, i governi della Nato hanno steso un imbarazzato cordone sanitario di silenzio intorno alle iniziative di pace promosse dal pontefice. Però la posizione di Francesco a favore di un cessate il fuoco, che apra la strada a una trattativa di pace trova il favore di quella vasta parte del mondo (maggioritaria in termini di popolazione) che vuole chiudere con questa guerra. Che non vuole arruolarsi né sotto l’una né sotto l’altra bandiera. Che vuole impostare un nuovo ordine multilaterale planetario: una Helsinki 2 come ha proposto Francesco.
Tra poche ore il Papa sarà in Mongolia e farà sentire nuovamente la sua voce. Dall’Italia agli Stati Uniti cresce l’insoddisfazione per la guerra. Gridare contro l’argentino alla fine non è detto sia una strategia vincente.