Le Dolomiti crollano! Ogni anno l’acqua di pioggia penetra negli interstizi delle rocce e d’inverno gela. L’acqua si espande quando si solidifica (come sa chi ha dimenticato una bottiglia nel freezer) e, invece di spaccare la bottiglia, spacca la roccia. Anno dopo anno le rocce frantumate cadono alle pendici delle Dolomiti, formando i ben noti ghiaioni. I massi che cadono dalle montagne sono un pericolo per gli escursionisti, per non parlare di questa erosione che prima o poi toglierà bellezza alle montagne più belle del mondo.

Per far fronte a questo disastro l’assessore al turismo ha proposto un piano di imbrigliamento dolomitico, ad iniziare dalle tre Cime di Lavaredo. L’assessore, all’uscita dalla riunione, era atteso da un’autoambulanza chiamata dal presidente della provincia subito dopo la lettura del progetto. Imbrigliato in una camicia di forza, con ancora in mano il piano di risanamento, l’assessore è stato trasferito oltre confine, dove ancora operano i manicomi, per impedirgli di danneggiare ulteriormente la cosa pubblica.

Questa assurda storiella è ovviamente frutto della mia fantasia, nessuno si sogna di imbrigliare le montagne perché crollano i massi: è un fatto naturale.

Bene, ora cambiate Dolomiti con Falesie di Punta Giglio ad Alghero ed eccoci calati nella realtà. Nessuno ha chiamato l’ambulanza e il progetto si farà, a quanto pare. La falesia crolla, come tutte le falesie che si rispettano… Le falesie sono il frutto di erosione ed è normale che si stacchino massi dalle loro pendici, proprio come avviene sulle Dolomiti. Già, ma sotto la Falesia di Punta Giglio i turisti nautici amano sostare per fare un bel bagno ed è programmato un campo boe dove le imbarcazioni possano essere ormeggiate senza dover gettare l’ancora, danneggiando la biodiversità dei fondali.

Sono favorevolissimo ai campi boe e anche al turismo nautico ma, con tutto il Mediterraneo a disposizione, bisogna andare proprio sotto le falesie di Punta Giglio? Basterebbe mettere una serie di piccole boe per indicare il tratto soggetto a frana, in modo da avvertire che lì non si deve andare, a causa della naturale caduta di massi. Si tratterebbe di un OECD (Other Effective Conservation Measure): una misura che, indirettamente, contribuisce alla conservazione efficace, visto che nella zona per noi pericolosa non si possono mettere in atto attività antropiche di ogni tipo e, quindi, l’ambiente viene lasciato in pace.

Tra l’altro, nelle aree soggette a questo tipo di erosione, spesso la biodiversità si esprime in modi originali e a Punta Giglio è protetta da norme nazionali e internazionali per la presenza di habitat e di specie botaniche e faunistiche d’interesse comunitario. Astruse sigle derivanti dalla Direttiva Habitat e Uccelli dell’Unione Europea sanciscono una ZPS (Zona di Protezione Speciale) e una ZSC (Zona Speciale di Conservazione), entrambe inserite nella Rete Natura 2000 dell’UE, la rete di aree protette sancite a livello europeo e gestite dalle regioni.

Ci sono località analoghe anche in Salento, lungo la magnifica strada costiera che unisce Otranto a Santa Maria di Leuca. La caduta di massi, in certi tratti, ha richiesto imbrigliamenti, e lo stesso avviene nelle strade di montagna. Nessuno è così folle da pretendere che una strada si interrompa perché le frane non si devono toccare: sono un fenomeno naturale, ma la sicurezza pubblica impone misure di contenimento. Mi direte: ma perché costruire infrastrutture dove c’è pericolo di crolli? A volte si tratta di opere “storiche”, realizzate tanto tempo fa. Come la ferrovia adriatica, costruita sulla spiaggia per centinaia di chilometri e poi protetta dall’inevitabile erosione costiera con una massicciata anch’essa di centinaia di chilometri. Chi l’ha progettata non ha tenuto conto che i litorali sono dinamici…

Nel caso di Punta Giglio, però, non ci sono infrastrutture. La logica è al contrario. Il sito è pericoloso per l’utilizzo umano (ma è proprio questa pericolosità per noi che lo rende prezioso per la biodiversità) così, per favorire l’utilizzo umano (il campo boe), lo mettiamo in sicurezza e poi andiamo a fare il bagno, in barca, sotto quelle bellissime rocce.

Bellissime, ma per poco! Le rocce pericolanti saranno fatte cadere, si rimuoveranno le cause dell’unicità della biodiversità di quel sito, si pianteranno perni nelle rocce più stabili e la falesia sarà imbrigliata: una meraviglia! Se poi non dovesse bastare si potrebbero costruire dei contrafforti di cemento armato, così il problema sarebbe risolto definitivamente. Già che ci siamo si potrebbe anche costruire una bella piattaforma, sempre di cemento armato, sotto alla falesia oramai in sicurezza, così chi arriva in barca potrebbe scendere a terra e fare un barbecue col pesce appena pescato.

Anche questa proposta cementifera è frutto della mia immaginazione, ma la messa in sicurezza della falesia è, purtroppo, una proposta reale. Come reale è la raccolta firme per salvare la falesia.

Non ho firmato la petizione, e non la firmerò, perché sono contrario alle raccolte firme di ogni tipo. Penso che queste cose le dovrebbe risolvere la politica o, in assenza di politica, la magistratura, oppure le procedure d’infrazione che l’UE mette in atto quando si infrangono le sue regole, peraltro recepite dagli stati membri che, quindi, ne riconoscono la validità. I politici dovrebbero esprimersi prima delle elezioni sulla loro posizione rispetto a queste iniziative, ma avrebbero la certezza di perdere se dovessero esprimersi a favore dell’ambiente. Come è avvenuto a un candidato alle regionali sarde che aveva incautamente rivelato l’intenzione di difendere le coste dalla cementificazione: spazzato via dal voto.

Tra Gesù e Barabba la folla si ostina a scegliere Barabba: la falesia e la sua biodiversità hanno le ore contate e il campo boe si realizzerà: il progresso avanza. Democraticamente.

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