Pietà per la nazione che indossa abiti che non ha tessuto /e mangia pane che non ha mietuto: con questi versi filosofici di Kahlil Gibran inizia Mappa muta per gli annegati (2019), raccolta poetica dell’autore albanese Arian Leka, un’opera complessa, dolorosa e profondamente umana che racconta la grande ondata migratoria albanese degli anni Novanta. La migrazione albanese diventa, nelle intenzioni del poeta, l’archetipo di tutte le migrazioni e la parabola dei naufraghi albanesi la parabola d’ogni uomo sulla Terra. Al centro di questa particolare tessitura poetica in cui la lingua asciutta della prosa si intreccia alla puntualità del linguaggio giornalistico, al rigore filologico del saggio e al potere evocativo dei riferimenti biblici, e la voce poetica è sempre voce corale, polifonica, c’è il mare che divide l’Albania dalle coste italiane. Arian Leka scrive per coloro che sono rimasti e per coloro che sono andati via, per chi è riuscito a raggiungere la costa e per chi è morto durante la traversata, per ieri e per oggi.

S. S.

[Le poesie che seguono sono state tradotte tra marzo e giugno 2023 da Giorgia Vladimir, Leandro Kalluci, Melisa Pallani, Monterei Dragoti e Luka Buzi dell’IC “Pagani” di Monterubbiano durante “Il traduttore in classe”, progetto che porta la traduzione tra i banchi di scuola, curato e diretto da Stella Sacchini].

23 dicembre 1997
Gli scafisti gettano nel mare di Otranto 33 clandestini.
Interviene la guardia costiera italiana. Solo 19 sopravvissuti.
(dalla stampa dell’epoca)

Bancarella di Natale

Lungo il pallido lido
là in fondo, il mare rigetta i tronchi
— Ovunque

Fino al mattino li spinge, li solleva
le torce sono spente dagli spruzzi
— Di rugiada

Le anime annegate si placano sulla sabbia
ghirlanda di alghe
— Non così tanto

Grossi tronchi riscaldano la solitudine
li chiamiamo per nome, non ci sentono
— Cadono le lacrime

Le navi vengono cancellate dal registro delle immatricolazioni marittime
i tronchi riconoscono casa
— Riconosciamo la nostra gente

13 novembre 1997
In migliaia accompagneranno “il dolore del mare”.
Tra questi, Rexhep Qemal Meidani, Fatos Thanas Nano, Romano Prodi.
L’intero Paese è in lutto. Le vittime di Otranto vengono sepolte.
Cerimonia funebre anche a Fier.
Dall’Italia arrivano in traghetto 52 bare.
Cordoglio delle due città.
(dalla stampa dell’epoca)

***

14 ottobre 1992
Prima tragedia nella baia di Valona. Annegano 25 persone.
(dai telegiornali e giornali locali)

Mappa muta per gli annegati di Otranto

Nei cimiteri del mare, quando voi siete annegati.
Noi abbiamo scavato le fosse.
– Abbiamo piantato.
Gigli azzurri.

Abbiamo chiuso le saline.
La morte non deve arrivare a tavola.
– Senza parole.
Le prefiche…

Verso le rive nuota la morte sul dorso.
Nasconde il coltello sotto l’ascella

– Nei cimiteri del mare
abbiamo aspettato invano…

19 febbraio 1998
… un trentenne di Valona si è tagliato con l’elica del motoscafo, è caduto nell’acqua durante una manovra.
“– Ci stanno colpendo…! – Restate dove siete! – Non avvicinatevi alla prua e non buttatevi in mare!
– Razza di stupidi…! – Andate a sinistra, a sinistra! Svelti, spostatevi a sinistra perché ci stanno colpendo!”
(dai ricordi dei testimoni, marzo 2015)

***

Marzo, 1998:
… Ascoltavo la voce che mi parlava. “Vai di sopra” diceva, “perché non mi sento bene”. È tutto ciò che ricordo.
(dai ricordi di un sopravvissuto)

Missione di soccorso

Sulla spiaggia sono arrivati gli animali, noi no.
Un coccodrillo. Un puma. Un rinoceronte.
Uno squalo. Un cavallo. Un elefante.
Persino un cane randagio per cui
non era ancora giunto il tempo di morire.
Hanno navigato sui loro vestiti.
Animali, ricamati su magliette firmate,
comprate in negozi di vestiti usati di terza mano,
tenute strette, con gli zoccoli e le unghie contro il cotone bagnato,
prodotte nei paesi poveri, come la nostra patria,
dove le persone annegando nel sudore, come noi,
cuciono le loro palpebre con un filo.

Li abbiamo visti rompere le onde.
Hanno abbandonato le magliette
come fanno i marinai con le barche quando toccano terra,
per annunciare alla gente che il mare ci ha dato una nuova nazionalità,
che i nostri corpi non sarebbero apparsi sulla sabbia,
che le tortore avrebbero potuto legare un crepuscolo al collare,
appollaiandosi sui comignoli delle barche, messe in fila
per essere trasformate in rottami e ruggine che,
una volta fusi, danno vita a nuove barche pesanti
per i migranti e per i figli dei migranti,
che vagheranno in questo mare a notte fonda,
calpestati dai nostri piedi e solcati dalle nostre gambe.

Senza data:
… dopo essermi ritrovato in mare, sono tornato nella barca, trattenendo il respiro sono uscito dall’acqua.
La barca mi trascinava a fondo mentre scivolavo nell’acqua del mare.
(dai ricordi di un sopravvissuto)

Arian Leka (Durazzo, 1966) ha studiato Lingua e letteratura albanese a Tirana. Scrive poesie, racconti e romanzi e ha tradotto in albanese le opere di Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. Nel 2004 ha fondato il Festival POETEKA e da allora dirige l’omonima rivista letteraria. Ha ricevuto il premio del ministero della Cultura albanese.

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