Cinema

Festival di Venezia, Poor Things! – La fiaba dark di Yorgos Lanthimos “incanta il Lido”. Emma Stone freak da premio

di Anna Maria Pasetti

Funambolico, divertente, arguto e naturalmente dotato di uno sguardo visionario, estremo e coraggioso che, fra estimatori e detrattori, non lascia mai indifferenti. Così Yorgos Lanthimos, greco ma ormai British d’adozione, continua a infiammare i principali festival internazionali, e in particolare la Mostra veneziana alla cui 80ma edizione si presenta in concorso con il suo settimo lungometraggio, Poor Things! ispirato al da lui amatissimo omonimo bestseller di Alasdair Gray del 1992 (uscito da qualche giorno anche in italiano per Safara col titolo Povere creature!). Co-produttrice e protagonista assoluta e straordinaria (Coppa volpi prenotata per lei? Che non sarebbe troppo complesso visto Chazelle presidente di giuria..) è Emma Stone nei panni della leggendaria Bella Baxter, sorta di Frankenstein femminile inquadrata sulla via dell’emancipazione dentro a un Romanzo di formazione e di critica sociale travestito da fiaba dark e commedia macabra dal sapore squisitamente gotico intessuto di chiari accenni di cinema horror, fantasy, family, romance ed erotico.

Il tutto a comporre qualcosa che potremmo letteralmente definire un Cinema di innesti: anatomicamente, artisticamente, metaforicamente. Del resto il materiale di partenza felicemente sceneggiato da Tony McNamara (che già aveva offerto a Lanthimos La favorita su un piatto d’oro, e infatti vi vinse l’Oscar come miglior script), era già superlativo, capace di sedurre i lettori e dunque anche l’impavido Lanthimos, “Non avevo mai letto nulla del genere. Gray era un pittore e aveva realizzato anche diverse illustrazioni per il suo libro. Fondamentalmente, era una storia sulla libertà di una donna nella società. La strada era aperta per raccontare una storia del genere”. Poor Things! è dunque un oggetto poliforme perché mentre racconta di questa giovane donna nata dal cadavere di una suicida incinta cui viene sostituito il defunto cervello con quello del suo feto da parte di un geniale e folle chirurgo/demiurgo (Willem Dafoe) – anch’egli dal viso e corpo ricucito – punta l’obiettivo su una società polarizzata, ingiusta, sempre più disumanizzata e accecata dal dio capitalismo.

Bella è infatti una freak tra i freaks di quella Londra Vittoriana dalla società ancora strutturata sul classismo radicale, dove ricchi e poveri potevano dialogare solo attraverso qualche artificio della scienza o della magia. Attraverso il connubio raccapricciante tra un corpo adulto defunto e un cervello infantile “non-nato” viene generata una creatura inizialmente mostruosa che crescendo diventerà la cartina di tornasole a illuminare tutti i peccati originali dell’umana sorte, specie quando questa ha deciso – secoli addietro – di avvilirsi e abbruttirsi dentro alle convenzioni sociali. I veri mostri, alla fine, risultano i cosiddetti normali, ovvero “a norma” di una società omologante già a quei tempi e che Alistair aveva preso a metaforico modello per parlare alla contemporaneità. Il percorso di “ribellione” di Bella Baxter è sicuramente un viaggio “femminista” nel miglior senso del termine, ma è anche un viaggio di rivendicazione della libertà di pensare, parlare, agire, compatire, amare e odiare di chiunque, ovunque e in qualunque periodo della Storia. E se questi sono i temi portanti del film, non va dimenticato che questo è soprattutto sostanza immaginifica, un dispositivo artistico e rappresentativo della verità più ancora che della realtà.

Ecco che il cineasta greco trasforma le sue “povere creature” in vivacissimi personaggi e le inserisce in uno scenario di pura fantasmagoria, pieno di citazioni ma anche di idee audio-visive dove la luce curata dal genio di Robbie Ryan mescola il bianco e nero del cinema muto anni ‘30 e le innaturali palette cromatiche perché il realismo non certo appartiene a questo film. E ancora i costumi (quelli di Bella evolvono con la sua crescita anagrafica..) il make up, tutto il look del testo si sposano con una colonna sonora “rumoristica” ai limiti del distonico. Insomma quest’ultima opera di Yorgos Lanthimos, la cui evoluzione di sguardo è palese e permette di perdonargli alcuni clamorosi passi falsi del passato, è un sofisticato, mirabolante e umanistico collage dedicato a raccontare quel meraviglioso mistero buffo che è l’esistenza umana. Lo vedremo nelle sale italiane dal 12 ottobre.

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