Lo zio stupra la nipote di sei anni e per legittimare le proprie azioni chiama la bimba “put*anella”, “smorfiosetta”. Se la bambina rompe l’imposta omertà lo stupratore la definisce “bugiarda”.
Lei lo considera un amico. Lui si fa forte del branco, o agisce per suo conto, stuprando la donna. Nel corso dello stupro le parole diventano autogiustificatorie, una suggestione autoproclamata per convincerla che è lei ad aver provocato. “Ti piace, certo che ti piace”, “lo vuoi anche tu”, “no vuol dire sì”, “smetti di fare la santarellina, altrimenti perché hai indossato quel vestito?”.
Se lei racconta ciò che ha vissuto, quel che deve ascoltare non è mai consolatorio e incoraggiante. “Eri consenziente, vuoi rovinarmi la vita, dovresti vergognarti di essere tanto sfacciata, sei una esibizionista, se soffrissi davvero lo terresti dentro quel dolore, se avessi voluto smettere avresti potuto fermarli”.
Tutto invita la donna a non rompere il ciclo dell’omertà. Sono cose che devi custodire in segreto, macerandoti l’anima mentre quel silenzio ti rinvia ad un disturbo da stress post traumatico, perché hai attraversato un campo di guerra e non puoi dirlo a nessuno. Talvolta ne consegue depressione, autolesionismo, tentato suicidio. Se non puoi elaborare ciò che ti è successo, se non ti è permesso parlarne, pensi di essere sola e qui arriva il trucco. Farci sentire tutte sole e non in numero sufficiente da poter rovesciare il mondo. Divide et impera.
Quando un uomo violento ti picchia, a volte così tanto da ucciderti, dice frasi come “guarda che mi fai fare”, “sei tu che mi fai diventare così”. Lei sanguina e lui fa la vittima. Interpreterà lo stesso copione ogni volta e quando lei vorrà lasciarlo le dirà “se lo fai ti uccido” e in effetti alcune volte la uccide.
Tutta la retorica conservatrice che ruota attorno alla questione della violenza di genere si nutre del principio di innocenza del carnefice che immagina di poter invocare ad ogni stupro e femminicidio la legittima difesa.
È stata lei, sempre lei, per cultura strutturata, strato su strato, sulla demonizzazione delle donne, sulla criminalizzazione delle ragazze, qualunque sia il loro orientamento sessuale. A certi uomini non viene proprio in mente che la donna abbia diritto di scegliere e dire no. La pongono sotto sequestro, cui collaborano complici di ogni tipo, al fine di indurla al silenzio.
Ho raccolto mille storie di donne alle quali era stata attribuita la “colpa” delle violenze subite. Lasciare che restino sole, impossibilitate a parlare, le obbliga a vivere da prigioniere. Aguzzini sono tutti coloro che straparlano perché loro tornino in silenzio, nascoste, da sole. Il sequestro sociale senza possibilità di riscatto è l’unico modo che i carnefici applicano per pararsi il culo e continuare da codardi quali sono a trattare le donne come fossero oggetti.
Stupratori, carnefici, violenti, sapete di mentire e che la vostra pace non durerà a lungo. E smettete di pietire attimi di attenzione che le donne non vogliono offrirvi. Non siamo crocerossine, non siamo noi a dovervi salvare e a proteggervi. Abbiamo il nostro percorso di liberazione da fare. Voi fate il vostro. Ma mai sulla nostra pelle.